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Fiaso: crescono i ricoveri nelle terapie intensive ma sono solo no-vax

2 Dicembre 2021

Si intensificano i ricoveri per covid nelle terapie intensive degli ospedali italiani, + 9% in una settimana. Ma a soffiare sui numeri sono soltanto i non vaccinati, +17% in sette giorni, perché i ricoveri dei vaccinati invece calano del 10%. E’ quanto emerge dall’ultimo report settimanale della Fiaso, la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere, che monitora l’andamento della pandemia dalla sua rete di “ospedali sentinella”: «A subire le conseguenze peggiori della quarta ondata sono essenzialmente i non vaccinati» commenta il presidente Giovanni Migliore «siamo fiduciosi sul fatto che l’allargamento delal campagna vaccinale per la terza dose alle fasce più giovani proteggerà i soggetti fragili dalle forme gravi della malattia. Occorre però intraprendere la campagna vaccinale anche tra i bambini per bloccare la circolazione del virus».

Le presenze in calo dei vaccinati nelle terapie intensive nonostante la crescita complessiva dei ricoveri, prosegue la Fiaso, dimostra che i vaccini proteggono contro le forme gravi di covid. Dà da pensare anche il fatto che l’età media dei ricoverati risulta decisamente più bassa tra i non vaccinati: 63,4 anni contro i 74,7 dei vaccinati. Non solo: tra i vaccinati i pazienti con comorbidità sono il 71%, tra i no-vax rappresentano soltanto il 56%. «In sostanza» è la riflessione della Fiaso «i non vaccinati che entrano in terapia intensiva risultano in media più giovani e più sani dei vaccinati».

«I dati dimostrano che la vaccinazione e la diagnosi precoce influenzano positivamente la tipologia di pazienti che necessitano di cure intensive e l’esito della malattia» osserva Massimo Lombardo, direttore generale della Asst Spedali Civili di Brescia «è importante proseguire in questa direzione con uno sforzo congiunto di tutti gli attori del sistema. Tutti gli strumenti di prevenzione, tra i quali anche l’igiene delle mani, l’utilizzo della mascherina e il rispetto del distanziamento sociale, sono ancora necessari se vogliamo ridurre l’impatto della malattia».