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Rbm-Censis, più di un italiano su quattro nel privato per le liste di attesa

14 Giugno 2019

Sono 19,6 milioni gli italiani che nell’ultimo anno, hanno provato a prenotare una prestazione nel Servizio sanitario nazionale e poi, davanti ai lunghi tempi d’attesa, si sono dovuti rivolgere alla sanità a pagamento, privata o intramoenia. In media questi assistiti rappresentano il 28% della popolazione, ma la percentuale varia sensibilmente in base alla geografia: nel Nord-Ovest sono il 22,6%, nel Nord-Est il 20,7%, al Centro il 31,6% e al Sud il 33,2%. Sono i dati che arrivano dall’indagine Rbm-Censis realizzata su un campione di 10mila italiani, statisticamente rappresentativo della popolazione. Atterrano nella sanità a pagamento il 36,7% dei tentativi falliti di prenotare visite specialistiche (il 39,2% al Centro e il 42,4% al Sud) e il 24,8% dei tentativi di prenotazione di accertamenti diagnostici (il 30,7% al Centro e il 29,2% al Sud).

All’origine ci sono liste d’attesa che non vogliono accorciarsi: in media, 128 giorni per una visita endocrinologica, 114 giorni per una diabetologica, 65 giorni per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per una gastroenterologica, 56 giorni per una visita oculistica. Tra gli accertamenti diagnostici, in media 97 giorni d’attesa per effettuare una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 giorni per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia. E nell’ultimo anno il 35,8% degli italiani non è riuscito a prenotare, almeno una volta, una prestazione nel sistema pubblico perché ha trovato le liste d’attesa chiuse.

Il 62% di chi ha effettuato almeno una prestazione sanitaria nel sistema pubblico, così, ne ha effettuata almeno un’altra nella sanità a pagamento. E per ottenere le cure necessarie (accertamenti diagnostici, visite specialistiche, analisi di laboratorio, riabilitazione eccetera) tutti ‒ chi più chi meno ‒ devono surfare tra pubblico e privato, e quindi pagare di tasca propria per la sanità. E sono 13,3 milioni le persone che a causa di una patologia hanno fatto visite specialistiche e accertamenti diagnostici sia nel pubblico sia nel privato, per verificare la diagnosi ricevuta (una caccia alla «second opinion»).

Non sorprende quindi che nel 2018 la spesa sanitaria privata sia lievitata a 37,3 miliardi di euro: +7,2% in termini reali rispetto al 2014. Nello stesso periodo la spesa sanitaria pubblica ha registrato invece un -0,3%. Tra quelle effettuate direttamente nel privato hanno una prescrizione medica il 92,5% delle visite oncologiche, l’88,3% di quelle di chirurgia vascolare, l’83,6% degli accertamenti diagnostici, l’82,4% delle prime visite cardiologiche con Ecg. Sono numeri che riguardano prestazioni necessarie, non un ingiustificato consumismo sanitario.

«La spesa sanitaria privata media per famiglia ha raggiunto i 1.437 euro» ha detto Marco Vecchietti, amministratore delegato di Rbm Assicurazione Salute, nella conferenza stampa organizzata ieri a Roma per presentare i dati «nella maggior parte dei percorsi di cura gli italiani si trovano a dover accedere privatamente a una o più prestazioni sanitarie. E la necessità di pagare di tasca propria cresce in base al proprio stato di salute (per i cronici la spesa sanitaria privata è in media del 50% più elevata di quella ordinaria, per i non autosufficienti è in media quasi 3 volte quella ordinaria) e all’età (per gli anziani la spesa sanitaria privata è in media il doppio di quella ordinaria)».