dalla lombardia

Remunerazione: perché cambiare paradigma non si può?

6 Maggio 2019

di Giampiero Toselli, segretario di Federfarma Milano

A distanza di alcuni giorni torno su un tema che merita riflessioni ed approfondimenti e prendo spunto dal convegno istituzionale Federfarma, tenutosi a Bologna in occasione di Cosmofarma, ed in particolare da un ospite, in collegamento skype: Francesco Alberoni. Rileggendo i tanti articoli da lui scritti uno, “non si può”, calza perfettamente al caso nostro. Ne riporto un estratto:

Due anni fa ho incominciato a lavorare a… E poiché protestavo mi rispondevano «tu chiedi una cosa impossibile, non si può. Non è vero che non si poteva, si poteva benissimo. Il «non si può» nascondeva il «non voglio» o il «non sono capace». Non è la prima volta che arrivo a questa conclusione… E invece quella cosa si poteva invece benissimo fare. Bastava trovare una soluzione nuova, intelligente. Ma chi dice di no non fa lo sforzo di cercarla. Non vuol cambiare, non vuol fare fatica, non vuol pensare e sperimentare il nuovo. Ma chi dice sempre di no, lo fa anche per conservare ed affermare il suo potere. Quando un uomo di mediocre intelligenza e fondamentalmente privo di fantasia, raggiunge una posizione di potere come fa a conservarla? Circondandosi di persone che gli ubbidiscono prontamente, e creando ostacoli per impedire ai potenziali concorrenti di emergere, di acquistare visibilità e credito. Il mediocre, di fronte all’inventore, al creatore, è smarrito, ha paura. Non capisce la sua proposta, il suo progetto, ma oscuramente sente che, se glielo fa realizzare, le cose cambieranno e il suo tranquillo e sonnolento dominio verrà turbato. «Quieta non movere» dice l’antico motto latino. Tradotto in italiano, «non si può».

Ebbene nei giorni scorsi ho letto il comunicato stampa firmato da Assofarm dal titolo “Nuova Remunerazione, non esistono alternative” che incarna in maniera incredibilmente puntuale i contenuti dell’articolo di Francesco Alberoni infatti si nega la possibilità di alternative, si rifiuta di percorrere strade nuove, non si cerca un superamento della Distribuzione Diretta, ma la si favorisce e consolida tramite la dpc.

Ribadisco con decisione che è necessario un vero cambiamento. Chi pensa che:

– non si debba «intralciare lo sviluppo ormai consolidato della dpc»;

– la «questione dei “pacchetti” farmaci, acquistati in toto dal Ssn e distribuiti dalle farmacie territoriali, sia del tutto benvenuta»;

– per realizzare una nuova remunerazione si debba obbligatoriamente «chiedere allo Stato una qualunque azione di riforma basata su un aumento della spesa»;

– che un vero cambiamento possa «mettere in discussione l’attuale sistema dei doppi prezzi dei farmaci»;

chi pensa tutto ciò, dicevo, finirebbe per accettare quanto accaduto dal 2001 a oggi, senza neppure provare a esplorare nuove strade.

I farmacisti, e non solo lombardi, chiedono che i loro vertici concretizzino proposte che, nel rispetto dei budget della parte pubblica, siano in grado di superare le attuali criticità, e non proposte che le consolidino certificando il disastro.

Pittoresco che si parli a nome delle farmacie italiane, praticamente ventimila, quando non si ha titolo per rappresentarle e quando Federfarma non ha ancora definito e presentato ai propri iscritti una proposta.

Sarà altrettanto interessante capire se la distribuzione intermedia, Federfarma Servizi e Adf, confermeranno che «non esistono alternative» e, soprattutto, cosa ne pensa l’industria farmaceutica.

Ma siamo sicuri, che le farmacie italiane abbiano eletto i propri rappresentanti per ottenere il consolidamento della dd tramite la dpc? Posso affermare che a me, non è mai stato chiesto. Non dico di essere Peter Pan ma si deve immaginare qualcosa di meglio, qualcosa di più di un “minimo sindacale” che purtroppo qui neppure si vede, si deve provare ad immaginarsi di non essere schiacciati dalla dpc.

Chi pensa che l’opinione che gli italiani hanno dei farmacisti sia di «negoziante con la laurea (epiteto con il quale vengono spesso apostrofati i farmacisti dai molti nemici della categoria)» ha mai letto una delle tante indagini svolte, da differenti soggetti, sulla farmacia e sulla figura del farmacista che riportano ben altro giudizio?

I farmacisti non sono questi, sicuramente non lo sono i farmacisti lombardi. Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, in occasione del convegno tenutosi lo scorso 31 marzo, ha riconosciuto l’impegno delle farmacie lombarde nel condividere le necessità di contenimento dei costi a carico della parte pubblica ed il loro atteggiamento che è quello di coloro che non chiedono ma propongono.

Quindi proponiamo, e proponiamo di avere coraggio, di esplorare nuove strade, di non accettare, spero solo per pura pigrizia mentale, di infilarsi in una strada che non ha futuro per noi, per tutta la filiera e neppure per la parte pubblica, men che meno per il cittadino. È oltretutto necessario che «il fronte faticosamente costruito» sia veramente «comune» e, ricordo, non solo per puro esercizio didattico, che la filiera del farmaco parte dall’industria farmaceutica, passa dalla distribuzione intermedia ed arriva alla farmacia.

Il nostro problema non è la remunerazione, ma il prezzo di cessione del farmaco al Ssn, che non si deve certo risolvere demandando all’Ente pubblico l’acquisto dei farmaci per allargare la dd sotto la forma della dpc.

Remunerazione è un termine che non si concilia con le due anime della farmacia: attività imprenditoriale (acquisti e vendite) ed attività professionale (Farmacia dei servizi).

Le due anime coesistono e devono coesistere, riguardano il commercio per la cessione di un bene materiale (il farmaco) e la professione per la piena tutela del paziente (Farmacia dei servizi).

Vale la pena ricordare che la riforma Mariotti, nella formulazione del prezzo delle specialità, aveva già superato la divisione tra l’attività di spedizione del farmaco ed il ricarico sulla transazione commerciale, introducendo lo sconto sul prezzo al pubblico e da lì i conseguenti margini della filiera.

La nascita della Farmacia dei servizi che riconosce e certifica nuove attività professionali, direttamente connesse con il monitoraggio del corretto utilizzo del farmaco, può offrire ulteriori opportunità economiche e, per decollare, dovrà trovare le risorse nel produrre concreti risparmi in altri capitoli di spesa, quei “silos” che oggi sono un ostacolo alla ottimizzazione delle risorse, più che una garanzia del loro corretto utilizzo.

Ma avremo modo di approfondire perché l’argomento non può essere gestito con la «necessità di fare in fretta», quando il problema nasce nel 2001, ben diciotto anni or sono e, ora che si presenta l’occasione per discuterne, è veramente necessario che sia chiaro «l’approdo finale», e che tale approdo sia sicuro e non uno scoglio che certifichi e consolidi l’attuale disastro della dd.