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Carenze, anche il Canada si interroga sulle cause e il parallel trade non c’è

14 Dicembre 2019

Ma siamo poi così sicuri che all’origine delle carenze farmaceutiche ci sia soprattutto il parallel trade? Il dubbio si rafforza ogni volta che giungono notizie di indisponibilità da Paesi dove le differenze di prezzo sono positive, e dunque dovrebbero generare traffico in entrata e non in uscita. E’ il caso della Germania, dove le rotture di stock sono fonte di crescente preoccupazione per distributori e farmacie, ed è ora anche il caso del Canada, dove ormai si contano circa duemila farmaci soggetti a carenze.

Il fenomeno è tutt’altro che recente, data almeno dal 2010, e ha raggiunto numeri tali da spingere la stampa nazionale a indagare più a fondo nel fenomeno e andare oltre le solite spiegazioni, dai colli di bottiglia alle interruzioni della produzione. In un articolo pubblicato la settimana scorsa, per esempio, il Financial Post cita indagini e analisi che individuano cause più profonde e remote

Innanzitutto c’è da considerare il processo di concentrazione che da tempo interessa il settore dell’industria farmaceutica: soltanto nel 2008 si sono registrate 800 tra fusioni e acquisizioni (un record storico) e non c’è dubbio che queste operazioni finiscono tra le altre cose per ridurre «le alternative terapeutiche a disposizione dei pazienti».

Tra i fattori citati dal quotidiano c’è anche la globalizzazione della filiera logistica, oggi «più lunga, più complessa e più frammentata» che mai; la conseguenza è che diventa sempre più difficile ovviare alle interruzioni della produzione, come conferma un recente rapporto della Fda americana. Anche i crescenti controlli delle autorità internazionali negli impianti indiani e cinesi, che coprono l’80% circa del mercato mondiale, potrebbero avere il loro peso, ipotizza il Financial Post.

A riprova il quotidiano ricorda lo scandalo americano dell’eparina Baxter prodotta in Cina, che nel 2008 causò più di 80 morti negli Usa. In seguito a quell’evento la Fda intensificò i controlli presso i siti produttivi dei fornitori internazionali, che hanno incrementato le interruzioni del ciclo produttivo per problemi nei siti industriali.

Per Financial Post, tuttavia, la «madre di tutte le cause» è il drastico calo dei prezzi che in molti Paesi hanno subito i generici. «La stragrande maggioranza delle strozzature» accusa Jackie Duffin, docente a riposo della Queen’s University «riguarda farmaci i cui brevetti sono scaduti». Secondo le autorità canadesi, il prezzo medio di un generico è calato del 60% tra il 2007 e il 2018. E se in passato per ciascuna molecola off patent c’erano più produttori in concorrenza tra loro, oggi non è più così. «Le aziende» commenta Jordan Berman, portavoce dell’industria genericista canadese Apotex «stanno abbandonando il mercato perché non possono permettersi di produrre prodotti in perdita».

Duffin cita il caso del tamoxifene, attualmente soggetto a carenza: quando la versione branded uscì nel 1985, il prezzo delle confezioni da 10mg si aggirava sui 2,88 dollari; oggi si aggira sui 17 centesimi. Quando decadde il brevetto, non meno di undici società si misero a produrre farmaci con lo tesso principio attivo, ora ne rimangono soltanto tre. E così, quando Apotex ha riorganizzato i processi produttivi del suo stabilimento in Ontario, sono iniziate le carenze: il sito copriva i due terzi del mercato, Teva e AstraZeneca non avrebbero potuto colmare il divario temporaneo.