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Dpi, dagli Ordini nuove richieste. E i mmg puntano sulla digitalizzazione

25 Marzo 2020

I farmacisti che lavorano a diretto contatto con il pubblico vanno dotati al più presto di dispositivi di protezione individuale (dpi). E’ la richiesta che la Fofi ha rivolto ieri una volta di più a presidenza del Consiglio, ministero della Salute, Protezione civile e Commissario straordinario per l’emergenza. «La situazione ha da tempo superato il livello di guardia» avverte il presidente della Federazione degli ordini, Andrea Mandelli «non tutelare anche i farmacisti significa mettere a rischio l’accesso al farmaco da parte dei cittadini: la capillarità delle farmacie e degli esercizi di vicinato è fondamentale per ridurre gli spostamenti inutili e, quindi, la stessa diffusione del contagio». Sono dunque urgenti, conclude Mandelli, «provvedimenti che salvaguardino questi presidi, anche in questo momento un avamposto fondamentale del Servizio sanitario nazionale».

La stessa richiesta di dpi era stata lanciata il giorno prima dall’Ordine dei farmacisti di Roma: «Nelle ultime quattro settimane abbiamo scritto ormai a tutti fuorché a Babbo Natale» commenta in un comunicato il presidente Emilio Croce «le mascherine sono necessarie a chi, come noi, è ogni giorno a stretto e diretto contatto con i cittadini, esattamente se non più di altri professionisti della salute. Non abbiamo ancora avuto risposte e, intanto, cresce di giorno in giorno il numero di colleghi contagiati dal Sars-CoV-2».

Ma a lamentare la mancanza di dpi non sono solo i farmacisti. Ieri infatti Claudio Cricelli, presidente della Simg (Società italiana di medicina generale) ha diffuso una lettera aperta nella quale ricorda il tributo che i mmg stanno pagando all’impreparazione. «A oggi l’1% dei medici italiani è contagiato» scrive «abbiamo paura della disorganizzazione e dell’approssimazione ma non abbiamo timore di stare vicino alle nostre comunità. Tutti i medici in questi giorni lo stanno dimostrando».

Senza protezioni, prosegue Cricelli, i medici potrebbero diventare untori delle loro comunità. L’imperativo, dunque, è quello di assistere pazienti e malati anche meglio di prima, ma in maniera diversa: «Tutto il misurabile a distanza sarà misurato, tutto il prenotabile sarà prenotato, tutto il dematerializzabile sarà dematerializzato, tutto il digitale sarà utilizzato. Tra poco ogni cartella clinica avrà la videoconferenza integrata. Dare lo smartphone a un anziano non è né un’utopia né un lusso. È una necessità».

E’ in questo senso, osserva il presidente della Simg, che va letta l’ulteriore dematerializzazione impressa alla ricetta elettronica. «Con il virus abbiamo scoperto che si possono liberare i cittadini dall’inutile percorso casa-medico-farmacia-casa per ritirare due scatole di un farmaco che prenderanno per anni. Stiamo scoprendo che – se i pazienti lo desiderano – potremmo tranquillamente consegnare i farmaci direttamente a casa. Un solo passaggio, prescrizione/invio/consegna».

E’ in questo contesto, dunque, che Cricelli lancia la richiesta di rifornire i medici di famiglia di 100mila pulsossimetri, «per monitorare a distanza la saturazione di ossigeno dei nostri pazienti critici. Sono introvabili e molti sono rincarati del 100% in una settimana».

Intanto a Milano i mmg hanno già cominciato la vigilanza e la Lombardia sta per seguire. L’obiettivo è quello di far emergere il cosiddetto “sommerso” dell’epidemia, quei pazienti cioè che mostrano i sintomi di covid-19 ma non sono noti al servizio sanitario regionale. Sono malati da censire e tenere sotto controllo, ma anziché effettuare tamponi a tappeto la Regione Lombardia preferisce appoggiarsi alla rete della medicina generale. «Per sapere quante persone sono oggi affette da covid-19 dovremmo testare tutti, il che è ovviamente impraticabile» spiega al Corriere della Sera Luigi Cajazzo, direttore generale dell’assessorato alla Sanità lombardo «disponiamo di 22 laboratori con una potenzialità di 5/6.000 campioni al giorno, ma la strategia è quella di “tamponare” solo i casi con sintomatologia virale che si rivolgono al Pronto soccorso e gli operatori sanitari sintomatici».

I medici di famiglia, dunque, dovranno fare da sentinella. «Chiediamo loro di esercitare una sorveglianza proattiva verso i pazienti con sintomatologia respiratoria che non hanno necessità di ricovero, anche se non sono positivi al tampone» prosegue Cajazzo «il mmg deve vigilare da remoto, in modo assai più intenso di quanto già fa, attivando qualora necessario le Unità speciali di continuità assistenziale per visite a domicilio. Da una stima circa il 70% dei mmg sta già svolgendo le attività richieste» assicura Cajazzo «ma miglioreremo ancora, il mondo della medicina generale sta attivamente collaborando all’emergenza».