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Case di comunità, le Regioni: occorre rivedere il rapporto di lavoro dei mmg

23 Settembre 2021

Tutti nelle Case di comunità, con la sola eventuale eccezione «di quelle realtà territoriali che, per caratteristiche oro-geografiche, richiedono una distribuzione capillare della medicina generale». E’ il destino che le Regioni riservano ai medici di famiglia nei loro progetti per la riorganizzazione delle cure primarie secondo le direttrici del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per tradurne in pratica le indicazioni, è il pensiero dei governi regionali, occorrerà rivedere il rapporto di lavoro tra mmg e Ssn e il sistema di remunerazione, che hanno ormai fatto il loro tempo e non sono più adeguati al nuovo contesto. In particolare, si legge nel documento in cui le Regioni hanno riversato le loro proposte e che Quotidiano Sanità ha anticipato ieri, «l’investimento notevole che avverrà nelle strutture di assistenza primaria (le Case di comunità, ndr) rischia di non portare ai risultati auspicati in termini di capacità di risposta ai bisogni dei cittadini» a causa del «tipo di relazione che i professionisti convenzionati ancora intrattengono con il Ssn».

Il messaggio è chiaro: «un sistema che si muove per darsi una strutturazione fisica sul territorio, con luoghi di riferimento all’interno dei quali i cittadini, le famiglie e le comunità potranno contare su un insieme di servizi vocati alla presa in carico integrata» scrivono i governatori «difficilmente potrà svilupparsi senza che siano strutturati adeguatamente anche i ruoli e le funzioni, nonché le relazioni, con i professionisti che oggi operano nell’assistenza primaria». In altri termini, «il profilo giuridico del medico di medicina generale e il suo contratto nazionale di lavoro non sono idonei ad affrontare il cambiamento in atto».

Da questo punto di vista, osserva il documento, l’esperienza pandemica è stata emblematica: «Gli accordi nazionali sottoscritti a sostegno degli interventi delle regioni per fronteggiare la pandemia (intesa sui tamponi, sulle vaccinazioni e in alcune zone sui test rapidi) hanno prodotto scarsi risultati». L’istituzione delle Usca, continuano le Regioni, «ha sopperito alla difficoltà della medicina generale di organizzarsi autonomamente per fornire supporto alla sorveglianza attiva dei propri assistiti». Tale vigilanza, quindi, ha finito per riversarsi sui dipartimenti di Sanità pubblica quando avrebbe dovuto essere effettuata dai mmg, ma manca «uno strumento contrattuale/normativo che permetta alle Aziende sanitarie di coinvolgere questi professionisti».

Per le Regioni, dunque, è corretta l’impostazione del Pnrr laddove spinge per organizzare la medicina di famiglia in aggregazioni complesse come le Case di comunità: «La medicina di famiglia ha mostrato estrema debolezza laddove interpretata in modo isolato, mentre ha saputo riorganizzarsi in modo resiliente laddove erano presenti forme associative in grado di supportare i singoli, rafforzando l’operatività e il sostegno formale e informale». Anche se, avvertono, occorrerà «comunque tenere conto di quelle realtà territoriali che, per caratteristiche oro-geografiche, richiedono una distribuzione capillare della medicina generale».

Il rapporto di lavoro dei mmg con i servizi sanitari regionali, dunque, «dovrà uscire dalle criticità dell’attuale convenzionamento ed essere orientato a un modello che richiami regole chiare e attività esigibili, con sistemi di monitoraggio e remunerazione legati a risultati di salute e attività svolte». A tal fine, il documento prospetta un assetto contrattuale basato su «un quadro normativo nazionale semplificato, con regole chiare e inderogabili», e un livello regionale dove vengono declinati i principali obbiettivi. E riguardo al rapporto di lavoro, ipotizza quattro diverse opzioni dove la parola “convenzione” non c’è più: dipendenza, accreditamento, accreditamento più accordi (tipo privato-accreditato), doppio canale (dipendenza e accreditamento).

In tutti i casi – e questo è l’aspetto che più interessa da vicino i farmacisti titolari – l’obiettivo delle Regioni è quello di calare la medicina di famiglia nelle Case di comunità senza spazi di “renitenza”. «Indipendentemente da quale sarà l’evoluzione delle relazioni tra Ssn e mmg» scrivono «gli elementi da garantire sono l’obbligo di inserimento nelle strutture del Pnrr, la fornitura di prestazioni programmate dalla Regione e dall’Azienda sanitaria, il rispetto di indicatori di garanzia di presa in carico, l’Assistenza domiciliare come parte integrante dell’attività, la presenza dell’infermiere di comunità».

L’opzione della dipendenza, osserva il documento, sarebbe quella che consentirebbe più facilmente di spostare senza riserve i mmg nelle Case di comunità, ma anche l’ipotesi dell’accreditamento, con la formulazione di requisiti organizzativi e strutturali, garantirebbe l’obiettivo. A patto che venga abbinato a una revisione dell’attuale sistema di remunerazione, con il superamento degli incentivi per attività opzionali e la quantificazione di «una quota capitaria omnicomprensiva».

Per le farmacie, la riflessione da fare ora è chiedersi come cambieranno con il medico di famiglia della via accanto nel caso in cui diventasse un dipendente o un accreditato del Ssn.