dalla lombardia

Remunerazione, Toselli: occorre visione più ampia

7 Ottobre 2019

di Giampiero Toselli
segretario di Federfarma Milano

A distanza di qualche mese ritorno sul tema della cosiddetta “remunerazione” o meglio, come ho sempre sostenuto, sul tema della marginalità che la farmacia ottiene dalla cessione dei farmaci alla parte pubblica. Non entro nel merito dei calcoli – che comunque non mi convincono, e c’è chi ha già fatto notare parecchie incongruenze – perché ritengo sia prioritario analizzare il contesto nel quale viene portata avanti questa idea, a mio avviso rischiosa per le farmacie e, soprattutto, senza effetti sulla tormentata questione della dd/dpc che è la causa principale della sofferenza delle farmacie. Occorre soffermarsi e ragionare su alcuni dati oggettivi.

Le farmacie lamentano una crisi di marginalità sui farmaci dispensati in convenzione Ssn (ma non lamentano tale crisi sui farmaci dispensati a pagamento diretto da parte del cittadino). Quindi l’attuale metodo di calcolo della marginalità sul farmaco è tuttora valido.

Quando la farmacia cede il farmaco allo stato in ambito convenzionale lo stato ci trattiene, a vario titolo (sconti) una fetta della nostra marginalità. E quindi, indipendentemente dal metodo di calcolo della nostra marginalità, lo stato cerca di spendere meno e vorrebbe spendere ancor meno

Dal 2001 le Regioni hanno progressivamente incrementato la distribuzione diretta, strumento nato e tuttora previsto solo per determinate casistiche e non per fini economici, per risparmiare oltre che sugli acquisti anche sui compensi alle farmacie: quando la regione stima che il costo sostenuto per il farmaco in convenzionata, acquisto più margine della farmacia, possa essere maggiore del costo che sosterrebbe acquistando e distribuendo direttamente, ecco che il farmaco non “passa” più dalla farmacia. Se non si tocca la dd fermando l’emorragia di farmaci dalla convenzionata un nuovo metodo di calcolo della marginalità non migliora lo stato di sofferenza della farmacia. Nella tabella (dati Aifa) sotto riportata si nota lo spostamento dalla convenzionata alla diretta nel periodo 2013-2018.

 

 

Un metodo di calcolo della marginalità incentrato su una quota fissa ed una percentuale non è una novità. Ormai da anni è utilizzato in alcuni stati e i più vicini a noi sono Francia e Svizzera. Possiamo affermare che non ha risolto i problemi di marginalità delle farmacie in ambiti convenzionali. Inoltre, le quote di spettanza sono state nel tempo più volte riviste al ribasso. Si sostiene che tale metodo, peraltro già presentato da Federfarma nel 2012 senza trovare il consenso totale delle farmacie e respinto dal Mef, possa “proteggere” le farmacie dal continuo calo dei prezzi dei farmaci. Ma ora che praticamente tutte le molecole hanno perso la copertura brevettuale questo calo si è praticamente arrestato e limitata sarà tale incidenza nei prossimi anni. Rimane, in alcune aree geografiche, il calo del valore medio del farmaco dispensato in ambito convenzionale, dovuto però al progressivo spostamento dei farmaci dalla convenzionata alla diretta. Se in queste aree il valore medio del farmaco dispensato è basso, anche un nuovo metodo di calcolo della marginalità non potrà risolvere il problema.

È opportuno anche considerare che il ricorso alla dd è materia riservata alle singole regioni che, ben sappiamo, adottano strategie differenti e il dubbio che spesso prevalga sulla reale valutazione dei costi la filosofia, l’ideologia politica piuttosto che la moda di seguire le indicazioni di qualche guru dell’economia, spesso smentito sul campo, si materializza quando una regione quale la Lombardia riesce a coniugare un mix tra convenzionata e dd che le consente di ottenere una performance sui costi tra le migliori d’Italia assicurando, anche grazie alla rete delle farmacie, un servizio di eccellenza. È difficile quindi oggi prevedere che domani possa esplodere il ricorso alla dd nelle regioni che hanno già correttamente fatto le valutazioni sui costi reali dei due canali distributivi definendo una linea che si è rivelata premiante. Tra i vari fattori che condizionano le scelte, le regioni dovrebbero infatti considerare che nel computo della spesa per acquisti diretti non compaiono i costi del personale e delle strutture dedicati all’acquisto, lo stoccaggio e la dispensazione dei farmaci in dd, costi che non rientrano nel 14,85% del FSN dedicato unicamente alla spesa farmaceutica né tantomeno il payback che devono pagare in caso di sforamento della spesa per acquisti diretti.

Dalla tabella sotto riportata (fonte Aifa) possiamo notare come ci siano regioni che sfondano abbondantemente il tetto complessivo del 14,85% e regioni che riescono a gestire sia il tetto globale che la ripartizione tra i due tetti della spesa convenzionata e diretta. La Lombardia, che registra un leggero sforamento del tetto globale, +0,13%, riesce sia a gestire perfettamente i due tetti sia a contenere la spesa per abitante, cosa tutt’altro che scontata considerando la popolazione totale.

 

 

Come abbiamo sopra ricordato la spesa dei farmaci è suddivisa tra convenzionata e dd. La dd, che comprende la spesa ospedaliera, sfonda regolarmente il tetto e Regioni e Farmindustria chiedono maggiori risorse per questo capitolo. I farmaci nuovi e più costosi sono ceduti dall’industria alla parte pubblica negoziando direttamente il prezzo. Lo Stato non intende mettere un centesimo in più sulla spesa farmaceutica (soprattutto perché non ce l’ha). Quindi ce la giochiamo tra convenzionata e ospedaliera.

Chiedo allora: è davvero il caso allora di proporre una nuova remunerazione che di fatto interessa solo i farmaci rimasti in convenzionata e non modifica nulla nella dd, ossia la vera causa del nostro impoverimento? Se il nuovo sistema si traduce soltanto in una ridistribuzione tra le farmacie del finanziamento che ogni anno spetta alle farmacie del territorio (il 7,96% del fondo sanitario nazionale) dove sta la convenienza del cambiamento?

Dobbiamo essere coscienti che presentare al Governo un nuovo modello espone le farmacie al rischio di una revisione al ribasso delle attuali marginalità. Non c’è alcuna certezza che la parte pubblica, accettando lo schema proposto da Federfarma, ne accolga anche i valori economici. Invece, potrebbe fare proprio il sistema misto imponendoci però valori nettamente peggiorativi rispetto al presente: in altre parole, potrebbe finire che noi mettiamo il metodo e il Governo scrive le cifre. Ricordiamoci che il Governo non ha avuto la necessità di confrontarsi con Federfarma per imporre fasce di sconto e trattenute varie.

Una riflessione sulla diretta: qualcuno pensa che la dpc sia una cosa diversa e preferibile alla dd. E’ un grande errore perché la dpc altro non è che la legittimazione della dd. La farmacia, oltre a non acquistare i farmaci, viene retribuita con una cifra forfettaria che, in molte aree, non copre neppure il costo del servizio. E nulla cambierebbe anche estendendo il nuovo metodo alla dpc perché, come già detto in un precedente articolo, la dd trova la sua “convenienza” nel prezzo di cessione che le aziende riservano alla parte pubblica non tanto nel margine riservato alle farmacie. Concentrarsi sulla vera origine del malessere e opporsi a rimedi che potrebbero stroncare il paziente non è immobilismo. Si può contenere la dd soltanto con un confronto con Farmindustria che possa portare a una proposta congiunta a Stato e Regioni che riconduca la dd alle finalità per le quali è stata istituita e garantisca loro una sostenibilità economica. Questa è la strada che dobbiamo percorrere, questa è la visione ampia che va al di là degli interessi dei singoli o di singole aree del territorio e che guarda in prospettiva. L’auspicio, quindi, è che si affronti il problema della marginalità della farmacia guardandolo dalla parte giusta, nella sua interezza, non limitandosi alla pagliuzza e trascurando la trave.