In Italia la carenza di personale infermieristico ha raggiunto livelli critici, tali da compromettere la tenuta del Servizio sanitario nazionale e, con essa, anche la capacità di risposta di tutte le sue componenti, farmacie territoriali incluse. È quanto emerge dall’ultimo report elaborato dall’associazione sulla base dei dati Ocse ed Eurostat, aggiornati al 2025.
Nursing Up è il sindacato autonomo degli infermieri e delle professioni sanitarie, nato per dare voce alle istanze di medici, ostetriche, fisioterapisti, tecnici sanitari e assistenti sanitari. Dal suo report emerge un quadro peggiorato rispetto alle stime già preoccupanti circolate nei mesi scorsi: l’Italia si colloca tra i 6,2 e i 6,4 infermieri ogni mille abitanti, un valore inferiore al 6,5 comunicato in precedenza e tra i più bassi in Europa. «Siamo di fronte a una carenza strutturale profonda, che indebolisce giorno dopo giorno la sanità pubblica e compromette il diritto alla salute. Non ci sono più margini per ignorare la realtà» dichiara Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up.
La classifica europea non lascia spazio a dubbi: con Paesi come la Svizzera (18,3), la Norvegia (18) e la Germania (11,0) molto avanti, l’Italia si colloca in fondo alla lista, superata persino da Estonia e Portogallo. Peggio fanno soltanto Spagna, Grecia e Turchia.
Secondo De Palma, per colmare il divario con gli altri sistemi sanitari europei servirebbero almeno 175mila infermieri in più. Una distanza che si allarga ogni anno, alimentata da fattori ben noti anche alla farmacia territoriale: «la fuga dei professionisti, i ritmi insostenibili, la mancanza di investimenti adeguati» sintetizza il presidente del sindacato.
Il problema ha radici profonde, a partire dalla formazione. L’Italia è quintultima in Europa per numero di laureati in infermieristica: nel 2020 erano soltanto 17 ogni 100.000 abitanti, mentre la media Ue viaggia su ben altri numeri. Paesi come Malta, Ungheria e soprattutto la Svizzera (112 laureati per 100mila abitanti) hanno investito in formazione molto più della Penisola, che tra il 2010 e il 2020 è rimasta sostanzialmente ferma.
Anche nel confronto con gli altri Paesi del G7 l’Italia è fanalino di coda: 6,6 infermieri ogni mille abitanti contro gli 8,7 del Regno Unito, i 12,1 del Giappone e i 13,0 degli Stati Uniti. Ancora peggiore il divario nella formazione: 17 laureati contro i 65 statunitensi e i 38 francesi.
A scoraggiare l’ingresso e la permanenza nella professione concorrono poi retribuzioni tra le più basse in Europa. Secondo l’Ocse, gli infermieri italiani guadagnano in media 32.600 euro lordi all’anno, a fronte dei 39.800 della media Ue. In Lussemburgo la retribuzione media sfiora i 79.000 euro, in Belgio arriva a 72.000, nei Paesi Bassi supera i 54.000. «Anche il rinnovo del contratto non basta a colmare un divario così marcato. I giovani se ne vanno, e chi resta è stanco, sottopagato, spesso non riconosciuto» denuncia De Palma.
Serve quindi un cambio di passo radicale. «La politica ha finito il tempo delle scuse. Servono azioni vere: una riforma strutturale della professione infermieristica, investimenti stabili, una nuova visione che riconosca il valore di chi ogni giorno tiene in piedi ospedali, case della salute, Rsa, pronto soccorso» afferma De Palma. «Senza infermieri, l’Italia si svuota».