Washington colpisce Big Pharma, ma il contraccolpo potrebbe arrivare fino all’Europa, pazienti e farmacie incluse. Con un ordine esecutivo firmato ieri, il presidente americano Donald Trump ha imposto una drastica svolta alla politica sui farmaci degli Stati Uniti: d’ora in avanti, i prezzi dei medicinali praticati in Usa non potranno superare quelli in vigore nei Paesi sviluppati dove lo stesso prodotto costa meno. È il cosiddetto principio della “Most favored nation” (Mfn), ovvero “nazione più favorita”, e si preannuncia come un terremoto per le multinazionali del farmaco, che rischiano di vedersi eroso il margine generato nel primo mercato mondiale. Ma a pagare il conto potrebbero essere anche i sistemi sanitari europei, i consumatori e le filiere distributive, comprese le farmacie.
Secondo Trump, le aziende farmaceutiche da decenni vendono i loro prodotti negli Stati Uniti a prezzi (liberi, perché non c’è negoziazione all’ingresso sul mercato) anche quattro o cinque volte superiori rispetto a quelli europei. «Gli americani – ha dichiarato – hanno finanziato per troppo tempo la sanità degli altri Paesi. È finita: da oggi pagheremo il prezzo più basso, come tutti». L’ordine esecutivo punta esplicitamente il dito contro l’Europa, accusata di ottenere sconti sproporzionati attraverso sistemi di negoziazione centralizzata che Washington considera “più aggressivi di quelli della Cina”.
Il meccanismo previsto dal decreto prevede che entro 30 giorni il Department of Health and Human Services definisca obiettivi di prezzo basati sulle tariffe minime globali, avviando negoziati con l’industria farmaceutica. Se entro tale scadenza le aziende non avranno avviato un riallineamento verso i prezzi Mfn, scatteranno misure ancora più severe: dalla regolazione forzata dei listini fino all’autorizzazione all’import parallelo da Paesi con prezzi inferiori.
Il provvedimento chiama in causa anche il Department of Commerce e l’Ufficio del Rappresentante per il Commercio, ai quali è chiesto di verificare e sanzionare le politiche di prezzo estere che penalizzano le aziende statunitensi, come i tetti imposti nei mercati pubblici. E non è escluso un irrigidimento delle regole sull’export dei farmaci e dei principi attivi: un chiaro messaggio all’Europa, che da anni beneficia di prezzi più contenuti anche grazie all’alta competitività del mercato farmaceutico americano.
Le reazioni non si sono fatte attendere. Secondo uno studio della società di consulenza Simon-Kucher, la misura metterà sotto forte pressione l’intero comparto farmaceutico globale: i margini negli Usa rappresentano una parte fondamentale del bilancio per molti gruppi internazionali, e una loro compressione potrebbe avere impatti a cascata su ricerca, investimenti e occupazione. Le aziende – si legge nel rapporto – potrebbero decidere di ritardare o evitare il lancio di nuovi farmaci nel vecchio continente, pur di non abbassare le medie internazionali di prezzo e proteggere i listini statunitensi.
Uno scenario che rischia di riflettersi anche sull’accesso ai farmaci da parte dei pazienti europei, sulla sostenibilità dei sistemi sanitari e, in ultima analisi, sulla rete di farmacie che rappresenta il primo presidio sul territorio. Meno innovazione e meno disponibilità potrebbero tradursi in una pressione maggiore su assortimenti, approvvigionamenti e relazioni con i fornitori. Senza contare che l’equilibrio dei prezzi internazionali potrebbe spingere l’industria a rivedere la strategia distributiva anche nei Paesi più regolamentati, Italia compresa.
Il presidente Trump non è nuovo a iniziative del genere: già durante il suo primo mandato aveva tentato di imporre il principio della Mfn, ma si era scontrato con le resistenze dell’industria e con ricorsi giudiziari. Questa volta, però, la Casa Bianca sembra intenzionata a forzare la mano. «Siamo il più grande acquirente mondiale di farmaci» ha detto il presidente «e meritiamo il miglior prezzo». Una frase che riecheggia come un avvertimento: l’era dei “freeloaders”, i “portoghesi” della salute globale, secondo Trump, è finita.