Ore decisive per i progetti regionali che puntano a riformare la medicina generale con il passaggio dei mmg alla dipendenza del Ssn. Il tema, infatti, è all’ordine del giorno della Conferenza delle Regioni in programma oggi a Roma, dove dovrebbe essere discusso formalmente dopo mesi di interlocuzioni con il ministero della Salute. A premere, come noto, una pattuglia di Regioni comprendente Lazio, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Campania, Puglia e Toscana, che vedono nel passaggio alla dipendenza (al posto del rapporto in convenzione) il superamento dei problemi che oggi affliggono la mg
I numeri raccontano una crisi profonda: tra il 2019 e il 2024, i medici di famiglia sono calati di oltre 5mila unità, passando da 42.428 a 37.260 professionisti. Una riduzione del 15% in appena cinque anni, che sta già producendo effetti tangibili: in Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia il carico medio per medico supera i 1.700 assistiti (contro il massimale previsto di 1.500), mentre la media nazionale si attesta a 1.583. A ciò si aggiunge un’altra scadenza imminente: tra il 2025 e il 2027 andranno in pensione oltre 7.300 medici, secondo le stime della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale).
In questo scenario, il confronto odierno nella Conferenza delle Regioni rappresenta per molti un “ultimo appello” alla riorganizzazione. Al centro del dossier, come spiega un articolo del Sole 24 Ore, ci sono due interventi chiave: il primo riguarda appunto l’inquadramento dei nuovi Mmg, che potrebbero diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale (Ssn), superando l’attuale sistema convenzionato; il secondo prevede l’obbligo, per tutti i medici di famiglia, di garantire un certo numero di ore settimanali nelle Case della comunità.
Sul primo punto si profila un compromesso: l’accesso alla dipendenza riguarderebbe soltanto i medici che completeranno il nuovo corso triennale post-laurea – destinato a passare sotto il controllo universitario – lasciando libertà di scelta ai professionisti già in servizio. Sul secondo versante, l’ipotesi prevalente è di fissare a 18 le ore settimanali da svolgere all’interno delle strutture territoriali.
La riforma punta anche a valorizzare e utilizzare appieno le 1.400 Case della comunità previste dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), che dovrebbero essere operative entro metà 2026. Il modello è quello di un’assistenza più prossima e integrata, che garantisca continuità e accessibilità ai pazienti, contrastando fenomeni sempre più diffusi di “desertificazione sanitaria”, in particolare nelle aree interne e periferiche.
Il problema non è solo numerico, ma anche generazionale: nonostante l’aumento delle borse di studio finanziate anche con fondi del Pnrr, i concorsi per l’accesso alla medicina generale continuano a registrare scarsa partecipazione. In Lombardia, ad esempio, su oltre 500 borse messe a bando, meno di 200 candidati hanno effettivamente iniziato il percorso formativo.
Per tamponare l’emergenza, l’ultimo decreto sulla Pubblica amministrazione ha introdotto la possibilità, per le Asl, di trattenere in servizio i medici di famiglia fino ai 73 anni (su base volontaria e fino a fine 2026). Ma si tratta di una misura temporanea, che da sola non può invertire un trend ormai strutturale.
Serve quindi una riforma organica, capace di rendere la professione più attrattiva e di inserirla stabilmente nel nuovo assetto territoriale. La riunione di oggi potrebbe segnare l’inizio di questo percorso. Oppure, al contrario, sancire un’ennesima battuta d’arresto.