«L’imposizione di un trattamento sanitario, e di un obbligo vaccinale in particolare, può ritenersi compatibile con l’articolo 32 della Costituzione al ricorrere di tre presupposti: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di coloro cui è rivolto l’obbligo stesso ma anche quello degli altri individui; se c’è la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute dei vaccinati, salvo che per conseguenze temporanee e di scarsa entità; se è prevista la corresponsione di una equa indennità in caso di danno ulteriore alla salute». È con questo richiamo ai criteri costituzionali che il Tar Lazio, nella sentenza pubblicata l’8 ottobre scorso, ha respinto il ricorso di un militare dei Carabinieri sospeso dal servizio (e dalla retribuzione) per inadempimento dell’obbligo vaccinale.
La decisione del Tribunale amministrativo muove da due analisi: l’esame della documentazione sanitaria prodotta dal ricorrente e la verifica della legittimità costituzionale delle norme che nel 2021 avevano introdotto l’obbligo vaccinale. Il carabiniere, in particolare, nel dicembre 2021 si era recato in una farmacia di Palermo per farsi vaccinare e – a fronte delle informazioni ricevute dal medico vaccinatore – aveva sottoscritto il modulo del consenso informato evidenziando di procedere «sotto costrizione, per non perdere il lavoro, senza una precisa analisi rischio beneficio e senza alcuna garanzia sul rispetto della catena del freddo»; il medico, a quel punto, si era rifiutato di procedere all’inoculazione senza però redigere un «certificato di differimento»; il militare, di conseguenza, si era rivolto a un altro curante che gli aveva rilasciato un certificato medico in cui si attestava il diritto a un differimento per un «accertato pericolo per la salute nel caso di vaccinazione anti Sars Cov-2»;
Per il Tar il documento presentato dal militare per rinviare la vaccinazione non soddisfa i requisiti previsti dalla disciplina allora vigente. In particolare, la sentenza osserva che la certificazione «non documenta le “specifiche condizioni cliniche” che avrebbero legittimato il differimento», e pertanto non poteva incidere sull’accertamento dell’inadempimento operato dall’amministrazione.
Sul piano normativo e costituzionale, invece, il Tribunale richiama in modo articolato le pronunce della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato che hanno già affrontato la compatibilità dell’obbligo vaccinale con l’articolo 32 della Costituzione. La ricostruzione giurisprudenziale, richiamata dalla sentenza, sottolinea che l’imposizione del vaccino è ammessa quando risponde a un duplice interesse — tutela della salute individuale e collettiva — e quando è sorretta da evidenze scientifiche sulla sicurezza e l’efficacia del trattamento. In tale cornice il Tribunale condivide la valutazione del legislatore sulla proporzionalità della misura, facendo riferimento alle esigenze di tutela della salute pubblica e alla necessità di preservare servizi essenziali affidati a categorie professionali esposte al contagio.
Il Collegio respinge inoltre le censure relative alla presunta carenza dei presupposti per l’adozione dei decreti-legge che hanno introdotto l’obbligo, nonché le doglianze invocate sul piano dei regolamenti europei e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La pronuncia riprende i rilievi già consolidati in altre decisioni, che hanno escluso la natura sperimentale dei vaccini autorizzati e hanno ritenuto rispettati i canoni procedurali e di proporzionalità alla base dell’intervento normativo.
Di rilievo pratico per gli operatori sanitari — comprese le farmacie che hanno svolto attività di vaccinazione durante la campagna anti-SARS-CoV-2 — è il richiamo all’esigenza di una adeguata documentazione clinica. La sentenza evidenzia come la sola affermazione generica di un pericolo per la salute non sostituisca la necessaria indicazione delle «specifiche condizioni cliniche documentate»: un elemento che investe il ruolo del medico certificatore e la correttezza formale delle attestazioni che vengono trasmesse alle amministrazioni. Per chi somministra vaccini in farmacia, dunque, resta centrale l’accuratezza della raccolta del consenso e delle certificazioni accessorie, sia sul piano medico sia su quello giuridico.