Semaglutide, anche in forma orale, e tirzepatide sono i nomi di punta della nuova era nella terapia dell’obesità. Al Congresso nazionale della Società Italiana di Endocrinologia (Sie), ospitato la scorsa settimana a Torino, gli esperti hanno tracciato i contorni della svolta terapeutica impressa dagli analoghi del Glp-1 anche al trattamento dell’obesità.
I nuovi farmaci, già noti ai farmacisti per il crescente impatto in ambito diabetologico, si dimostrano infatti strumenti potenti anche nella lotta a sovrappeso e obesità, due condizioni che in Italia interessano rispettivamente 23 e 6 milioni di adulti secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità.
«Grazie ai nuovi farmaci» ha spiegato Gianluca Aimaretti, presidente Sie e direttore del Dipartimento di Medicina Traslazionale (Dimet) dell’Università del Piemonte Orientale «oggi oltre il 50% dei pazienti riesce a ottenere una significativa perdita di peso già al primo tentativo, contro il 30% delle terapie precedenti». Un cambio di passo netto, che riduce la frustrazione del classico approccio per tentativi ed errori, e che chiama ora a un salto ulteriore: la personalizzazione della terapia in ottica di medicina di precisione, per aumentare efficacia, ridurre i costi e minimizzare gli effetti collaterali.
La semaglutide (analogo del GLP-1, ormone che regola appetito e metabolismo) è già un riferimento nel trattamento dell’obesità. Ma ora le evidenze ne ampliano le prospettive: lo studio Score ha mostrato nei pazienti con diabete di tipo 2 una riduzione del 57% del rischio di infarto e ictus rispetto ai non trattati. Risultato in linea con lo studio Select, che aveva documentato un beneficio cardiovascolare anche in pazienti obesi senza diabete.
E le novità non si fermano alla formulazione iniettiva. Lo studio Soul ha dimostrato che la versione orale della semaglutide riduce del 14% gli eventi cardiovascolari nei diabetici ad alto rischio, aprendo la strada a una terapia più accessibile, anche in termini di compliance.
Sul versante della perdita di peso, lo studio Step-Up ha testato una dose settimanale più elevata (7,2 mg), con risultati oltre le attese: riduzione media del peso corporeo superiore al 20%, e un terzo dei pazienti che supera il 25% di calo.
Parallelamente, cresce l’interesse per la tirzepatide, agonista di due ormoni intestinali (Gip e Glp-1), già disponibile anche in Italia per il trattamento del diabete tipo 2. Secondo lo studio Surmount-5, la molecola supera in efficacia dimagrante la semaglutide 2,4 mg, a parità di tollerabilità. Mancano ancora i dati ufficiali sugli esiti cardiovascolari (studio Surpass-Cvot atteso), ma le aspettative sono elevate. «È l’inizio di una nuova fase della medicina dell’obesità» ha concluso Aimaretti «finalmente più vicina ai bisogni dei pazienti e più solida sul fronte della protezione cardiovascolare».
Come noto, semaglutide e tirzepatide sono autorizzati in Italia per il trattamento dell’obesità ma restano attualmente fuori dalla rimborsabilità, il primo registrato in classe C (dose da 2,4 mg settimanali), il secondo in Cnn non negoziata (IMC ≥ 30 o ≥ 27 con comorbidità).