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Paracetamolo, studio americano svela (forse) il meccanismo d’azione

18 Giugno 2025

Dopo oltre un secolo di utilizzo clinico, il paracetamolo potrebbe finalmente aver rivelato uno dei suoi segreti meglio custoditi: il meccanismo con cui esercita l’azione analgesica. Un gruppo di ricercatori americani ha pubblicato su Cell Reports Medicine uno studio che, per la prima volta, propone un’ipotesi dettagliata e supportata da dati sperimentali: il paracetamolo, in sintesi, inibirebbe un enzima chiave nella produzione di un cannabinoide endogeno, alterando così l’attivazione dei recettori CB1 implicati nella percezione del dolore.

Finora si era immaginato che il farmaco agisse sulla ciclossigenasi 2 (Cox-2) nel sistema nervoso centrale, un meccanismo in linea con quello dei Fans, ma l’ipotesi non aveva mai convinto del tutto. Il paracetamolo, infatti, è un inibitore debole sia della Cox-1 sia della Cox-2, e servirebbero concentrazioni troppo elevate per ottenere un effetto clinicamente significativo. Altre teorie hanno suggerito un’interazione con il recettore cannabinoide CB1, la cui presenza è documentata nel cervello e lungo le vie nervose che trasportano gli stimoli dolorosi. Tuttavia, mancava una prova solida che collegasse l’azione del farmaco a questo sistema biologico.

Lo studio americano colma in parte questa lacuna. I ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti su topi di laboratorio, compreso il test della piastra riscaldata, utilizzato per misurare la soglia del dolore. I risultati hanno mostrato che il paracetamolo è in grado di inibire, con dosaggi compatibili con le concentrazioni plasmatiche terapeutiche, l’enzima diacilglicerolo lipasi α (DAGLα), responsabile della sintesi del 2‑arachidonoilglicerolo (2‑AG). Questo composto è un endocannabinoide naturale che attiva i recettori CB1, gli stessi bersagli del tetraidrocannabinolo (Thc), il principio attivo della cannabis.

A questo punto lo scenario si fa interessante, ma anche più complesso. È noto infatti che l’attivazione dei recettori CB1 ha generalmente un effetto antinocicettivo, ovvero riduce la percezione del dolore. In questo caso, però, si verifica l’opposto: il paracetamolo ha un effetto analgesico perché invece riduce l’attivazione di CB1. Un paradosso? Non necessariamente. Come spiegano gli stessi autori, tutto dipenderebbe dalla localizzazione dei recettori CB1 all’interno del sistema nervoso. Se, ad esempio, questi recettori si trovano su neuroni che inibiscono le vie del dolore, la loro attivazione potrebbe ridurre l’effetto inibitorio e dunque aumentare la trasmissione dello stimolo doloroso. In tal caso, ridurne l’attività – come fa il paracetamolo – avrebbe l’effetto opposto, cioè analgesico.

La teoria è affascinante, ma ancora da consolidare. I ricercatori stessi riconoscono che la loro indagine presenta dei limiti: non sono stati presi in esame altri aspetti del sistema endocannabinoide, come il ruolo della glia e della microglia, né è stata verificata l’effettiva trasposizione di questo meccanismo dall’animale all’uomo. Inoltre, resta da chiarire con precisione dove e come si sviluppi questo circuito “anomalo” che rovescia le regole della neurofisiologia del dolore.

Ciononostante, lo studio apre prospettive interessanti non solo per comprendere meglio uno dei farmaci più usati al mondo, ma anche per lo sviluppo di nuove molecole analgesiche. Inibire selettivamente l’enzima DAGLα, per esempio, potrebbe rappresentare una nuova strategia terapeutica, capace di modulare il dolore agendo sui recettori cannabinoidi, ma senza gli effetti collaterali tipici della cannabis o degli oppioidi.