Nel 2024 quasi una persona su dieci ha rinunciato a visite o esami specialistici a causa delle liste d’attesa o di difficoltà economiche, una quota in crescita rispetto all’anno precedente e al periodo pre-pandemico. È l’immagine di un Servizio sanitario nazionale sotto pressione che Salutequità porta al centro del suo ultimo Rapporto sulla programmazione sanitaria regionale, presentato ieri al terzo Summit dell’associazione. Un quadro frammentato, nel quale le Regioni procedono in ordine sparso e gli strumenti nazionali di pianificazione restano fermi da anni, con ripercussioni dirette sui territori e sui professionisti che vi operano, farmacie comprese.
A mancare, osserva il rapporto, è una cornice nazionale che orienti e renda coerenti i diversi livelli di programmazione. Dei piani sanitari regionali oggi in vigore, sedici sono stati approvati prima della pandemia; quattro Regioni stanno aggiornando o riscrivendo i propri strumenti, mentre Abruzzo, Puglia, Calabria e Molise lavorano su programmi operativi dalla durata limitata. Solo il Friuli-Venezia Giulia provvede ogni anno all’aggiornamento della pianificazione sociosanitaria, mentre la Provincia autonoma di Trento si distingue per un piano decennale costruito con un percorso partecipato e dotato di indicatori di esito.
È invece ferma al 2006-2008 la programmazione sanitaria nazionale, benché la legge richieda l’adozione periodica di un Piano sanitario nazionale. Anche il Patto per la Salute 2019-2021 è prorogato “sine die”. Restano in attesa di approvazione il Piano liste d’attesa 2025-2027, il Piano pandemico, la proroga del Piano vaccini e il Piano salute mentale, mentre alcune strategie – come il Piano oncologico e il Piano cronicità – sono state aggiornate solo nell’ultimo biennio, dopo anni di attesa. Uno scenario che riguarda da vicino anche le farmacie, chiamate a operare in un contesto dove prevenzione, presa in carico territoriale, gestione delle cronicità e campagne vaccinali procedono senza un disegno unitario.
«Il nostro report evidenzia un quadro complesso e frammentato della programmazione sanitaria in Italia» afferma il presidente Tonino Aceti. «La mancanza di un nuovo Piano sanitario nazionale e la disomogeneità dei piani regionali dimostrano una carenza di visione strategica e di coordinamento». Aceti si interroga poi sul percorso istituzionale che dovrebbe accompagnare la futura programmazione: «Chi sarà ad approvarlo e con quali tempistiche? Verrà garantita una partecipazione di tutti gli stakeholder, a partire dalle associazioni di pazienti e cittadini? Sarà agganciato a risorse specifiche e vincolate?». E avverte che investire nel 2026 oltre 142 miliardi senza una chiara vision del SSN significherebbe perdere un’occasione di rafforzamento strutturale.
Il Rapporto richiama inoltre alcune evidenze che pesano sul sistema: l’invecchiamento della popolazione, l’aumento dei nuclei monocomponente, la quota crescente di cittadini a rischio povertà, la digitalizzazione ancora insufficiente rispetto ai partner europei. Anche l’accesso ai servizi resta segnato da forti disuguaglianze: dall’aspettativa di vita, che oscilla di tre anni tra territori, ai livelli essenziali di assistenza non garantiti in otto Regioni, fino alla spesa sanitaria privata che continua a crescere, superando nel 2024 i 41 miliardi.
Particolare attenzione è dedicata ai servizi territoriali, dove la frammentazione della programmazione incide sull’efficacia delle reti cliniche e degli screening oncologici e sulla capacità di presa in carico dei pazienti cronici. Temi che coinvolgono in modo diretto le farmacie, nodo di prossimità sempre più centrale nelle politiche regionali e nella riduzione delle disuguaglianze di accesso. Il Rapporto individua infatti negli “incubatori di innovazione” locali un potenziale da valorizzare: esperienze che anticipano risposte a bisogni diffusi e che, se integrate in un quadro nazionale coerente, potrebbero rafforzare la funzione territoriale del sistema sanitario e dei suoi presidi più capillari.