Per la prima volta compaiono anche i farmacisti tra le categorie ritenute “inaffidabili” dal Fisco sulla base degli Indici sintetici di affidabilità (Isa), lo strumento con cui il ministero dell’Economia misura la coerenza tra il reddito dichiarato da una partita Iva e il giro d’affari atteso. I dati, appena pubblicati dal Dipartimento Finanze e rilanciati da Il Fatto Quotidiano e Il Sole 24 Ore, mostrano una netta flessione per la categoria: nell’anno d’imposta 2023 (Dichiarazioni 2024) la quota di farmacisti che entra nel range dell’affidabilità si ferma al 62,6%, in calo del 12,3% rispetto all’anno precedente.
L’inserimento nella lista delle categorie sotto osservazione sorprende per la natura tracciabile delle operazioni effettuate dalle farmacie, che solitamente emettono scontrini e fatture per ogni transazione. È proprio su questo punto che è intervenuta Federfarma, attraverso una nota diffusa ieri e una dichiarazione del presidente nazionale Marco Cossolo, per ridimensionare l’interpretazione dei dati. «Non si tratta di evasione fiscale» ha affermato «ma di una temporanea non corrispondenza tra ricavi dichiarati e quanto previsto dagli Isa. Il motivo principale è il calo, se non l’azzeramento, delle prestazioni legate al Covid-19 come tamponi e vaccini, che nel 2022 avevano generato ricavi straordinari e non ripetibili».
Federfarma sottolinea che le farmacie rilasciano sempre documentazione fiscale, il che rende pressoché impossibile l’evasione. E aggiunge che i dati 2023 vanno letti alla luce di un fenomeno emergenziale che ha temporaneamente alterato la struttura economica di molte attività sanitarie. Una lettura confermata in parte anche dai dati pubblicati: nel settore della sanità, infatti, le farmacie presentano comunque un tasso di affidabilità migliore rispetto ad altre categorie (solo il 37% sotto soglia), meglio dei dentisti (48% “non congrui”) e molto meglio di settori come quello dell’intermediazione finanziaria o del turismo.
Il comparto finanziario è infatti tra quelli con il punteggio Isa più basso: il 68% dei consulenti e degli intermediari risulta inaffidabile, con una forbice impressionante tra chi dichiara 125 mila euro e chi supera i 560 mila. Anche nel turismo l’aderenza fiscale sembra lontana: il 64% dei campeggi e villaggi turistici e oltre la metà degli alberghi dichiara appena 18 mila euro. Peggio ancora va ai balneari, con il 58% fermo a 15 mila euro annui.
Nel commercio al dettaglio spiccano le difficoltà di congruità di panetterie (70% “inaffidabili”), mercerie (68%), negozi di giocattoli (67%) e abbigliamento (65%). I numeri si fanno paradossali per le discoteche e scuole di danza, dove il 77% dei contribuenti risulta fiscalmente sospetto, con un divario di 83 mila euro tra redditi dichiarati e attesi. Le gioiellerie, infine, chiudono il quadro con una media dichiarata di 28 mila euro per oltre la metà degli operatori, a fronte di un settore notoriamente ad alta redditività.
Sul piano territoriale, la Lombardia si conferma terreno di forte discontinuità: il 53,3% delle partite Iva non supera la soglia Isa. Più della metà incassa molto ma dichiara poco, con uno scarto tra ricavi e redditi che lascia ipotizzare vere e proprie sacche di evasione strutturale.