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Il socio di capitale? Per il Consiglio di Stato non è cosa da farmacisti

24 Gennaio 2018

Sui social qualche farmacista l’ha già scritto a chiare lettere: se il recente parere con cui il Consiglio di Stato ha detto la sua sulla Legge per la concorrenza verrà recepito alla lettera da amministrazioni e autorità sanitarie, i titolari di farmacia che portano il caduceo potrebbero trovare più conveniente muoversi da “laici” piuttosto che da professionisti iscritti all’Albo. Colpa, se così si può dire, delle indicazioni con i giudici di Palazzo Spada hanno risposto ai quesiti che il ministero della Salute aveva rivolto loro a novembre per dissipare le ambiguità della 124/2017: il farmacista socio di società che detiene farmacie, dice in sintesi il Consiglio di Stato, non può essere contemporaneamente titolare di altre farmacie; stesso discorso, dice ancora il parere, se riveste la carica di direttore oppure di gestore provvisorio, sempre di altra farmacia. D’accordo, e semplice collaboratore? Neanche, recita il parere, perché pure in questo caso scatterebbero i paletti dettati dall’articolo 8, comma 1 lettera b, della legge 369/91.

Il problema è che a leggere attentamente il documento i farmacisti iscritti all’Albo sembrano avere ben poche chance di diventare socio di capitale. Quasi come se i giudici di Palazzo Spada ritenessero che chi appartiene alla professione è bene che non investa i suoi risparmi in qualche società di farmacie. In base al parere, infatti, dovrebbero restarsene fuori – sempre per incompatibilità – anche i farmacisti che hanno un rapporto di lavoro dipendente (nel Ssn o nell’industria) e quelli che svolgono attività autonoma oppure praticano la libera professione, purché in modo continuativo (per esempio docenti a contratto, consulenti, informatori del farmaco eccetera).

In sostanza, tra coloro che portano il caduceo rischiano di poter fare i soci di capitale soltanto pensionati e disoccupati. Confermano alcuni degli esperti che già hanno avuto modo di ragionare sulle evidenze del parere (pubblicato, come si ricorderà, ai primi del mese): «Sembra assurdo» commenta l’avvocato Quintino Lombardo «ma è proprio così: per il Consiglio di Stato quasi tutti i farmacisti che vivono della propria professione non possono essere soci di mero capitale. Si tratta soltanto di un parere, che in questo passaggio si fa anche fatica a condividere, ma è legittimo supporre che le amministrazioni pubbliche comunque si adegueranno, magari con qualche perplessità». In base a quanto dicono i giudici, scrive l’avvocato Gustavo Bacigalupo sul proprio blog Sediva.it, «le uniche persone fisiche che possono liberamente partecipare a una società titolare di farmacia sono gli studenti non lavoratori, le casalinghe, i pensionati non occupati, le persone “diversamente” occupate – lavoratori occasionali e simili – e i nullafacenti». «Oggi anche i non farmacisti possono partecipare a qualunque società titolare di farmacia, senza limiti quantitativi» riprende Lombardo «dunque, qual è l’interesse pubblico a impedire l’acquisto di una semplice quota da parte di chi collabora in una farmacia o ha un qualsiasi posto di lavoro?».

Come uscirne? «La prima strada» risponde Lombardo «è ovviamente quella di ignorare il parere e, in caso di contenziosi con l’amministrazione pubblica, tentare la via giurisdizionale. Oppure si può ragionare sulla possibilità di partecipare a società d’investimento che, in quanto tali, non sarebbero titolari di farmacia ma potrebbero acquistare quote di altre società con interessi nel settore. Ma soluzioni facili non ce ne sono». Eppure andranno trovate, perché un’applicazione letterale delle indicazioni di Palazzo Spada metterebbe in difficoltà parecchi farmacisti titolari. Per cominciare, quelli che oggi sono soci di società della distribuzione intermedia che aspirano ad acquisire farmacie. O ancora, quei titolari disposti a vendere a una catena che è pronta a tenerli come direttori della loro ex-farmacia e a motivarli con una partecipazione societaria. E’ un bel ginepraio.