Neanche due anni e già si prospettano limature alla remunerazione mista che le farmacie percepiscono dal marzo 2024 sui farmaci rimborsati: dal nuovo anno, infatti, la quota marginale del 6% sul prezzo al pubblico (che si aggiunge alla quota fissa, da 0,55 a 2,50 euro per scatola) non potrà superare i 6 euro di importo; in parole povere, dal 2026 le farmacie continueranno a percepire una quota marginale pari al 6% del prezzo al pubblico soltanto sui farmaci che costano fino a 100 euro; per quelli che superano tale valore la quota diventa da marginale a fissa, 6 euro a prescindere dal prezzo al pubblico.
La disposizione è una delle novità che si annidano nella bozza della Legge di bilancio per il 2026 approvata venerdì scorso dal Governo (e pubblicata da Quotidiano Sanità). La si può trovare all’articolo 77 (Altre disposizioni in materia di farmaceutica): «All’articolo 1 della legge 213/2023» recita il comma 6, è aggiunto il comma 225-bis: per tutti i medicinali il cui prezzo di vendita al netto dell’imposta sul valore aggiunto (iva) sia superiore a euro 100, le quote di remunerazione di cui al comma 225 si applicano in misura corrispondente a quelle previste per i medicinali aventi un prezzo al pubblico, al netto dell’iva, pari a euro 100».
Che cosa diceva il comma 225 della legge 213/2023, ossia la Manovra per il 2024? «A decorrere dal 1° marzo 2024 il sistema di remunerazione delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN è sostituito da una quota variabile e da quote fisse, così determinate: una quota percentuale del 6% rapportata al prezzo al pubblico al netto dell’iva per ogni confezione di farmaco; una quota fissa pari a euro 0,55 per ogni confezione di farmaco con prezzo al pubblico non superiore a euro 4; una quota fissa pari a euro 1,66 per ogni confezione di farmaco con prezzo al pubblico compreso tra euro 4,01 ed euro 11; una quota fissa pari a euro 2,50 per ogni confezione di farmaco con prezzo al pubblico superiore a euro 11».
Poiché la griglia delle quote fisse non fa più distinzioni tra farmaci con prezzo sopra gli 11 euro, è evidente che la disposizione del ddl riguarda la quota marginale, che quindi dal nuovo anno resta variabile finché il prezzo del farmaco è sotto i cento euro e diventa anche lei fissa quando è superiore.
Se la misura dovesse passare (legittimo porre un dubbio, dato che nell’iter parlamentare le Manovre vengono spesso riscritte da capo a piedi) per le farmacie sarebbe una botta non indifferente, perché andrebbe a incidere sulla marginalità dei farmaci della convenzionata più remunerativi. Viene da chiedersi se questo intervento non serva in qualche modo a placare gli animi di quelle Regioni (in testa Toscana ed Emilia Romagna) che più avevano protestato per le prime riclassificazioni da Pht a convenzionata – con gliptine e gliflozine – paventando contraccolpi sulla spesa farmaceutica. Di certo, non si può dire – come aveva fatto Federfarma quando a suo tempo aveva sostenuto la necessità di riformare la remunerazione, che il nuovo sistema abbia messo le farmacie al riparo da tagli e razionalizzazioni.
Sempre all’articolo 77, vale la pena segnalare il comma 3, che accoglie le richieste degli industriali ed elimina lo sconto dell’1,83% introdotto dal decreto 78/2010, e il comma 5, che “rammenda” il pasticcio generato dalla disposizione della Manovra dello scorso anno sull’extrasconto dello 0,65% ai distributori (articolo 1, comma 324, della legge 207/2024): la disposizione, specifica il testo, si applica su tutti i farmaci (branded ed equivalenti) e lascia «impregiudicata la quota dell’8 per cento, contendibile tra farmacisti e grossisti, di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto legge 39/2009».
Ora la palla passa alle Camere per l’iter legislativo di rito.