Tutte le mascherine facciali che, in quanto dpi, riportano il codice en 149:2001+A1:2009 «sono estranee al Protocollo d’intesa sottoscritto con il commissario straordinario di Governo e, pertanto, nulla hanno a che vedere con le disposizioni riguardanti il rimborso». E’ quanto recita la lettera con cui la Federfarma nazionale risponde alle richieste di chiarimento inviate l’altro ieri dal sindacato titolari della Lombardia, al quale non tornavano alcuni passaggi della circolare diffusa dalla Federazione il primo maggio per spiegare agli iscritti i contenuti dell’accordo.
A non convincere, in particolare, era l’indicazione che allargava le disposizioni su prezzo massimo e «ristoro» alle mascherine modello en 149, di cui il Protocollo non fa menzione. Nella risposta inviata ieri a Federfarma Lombardia, la Federazione ammette che l’estensione è frutto di una propria «autonoma valutazione», a sua volta suggerita da «segnalazioni pervenute a ridosso della trattativa con il Commissario». Tuttavia, prosegue la lettera, richieste di chiarimento giunte dal territorio successivamente alla circolare «hanno indotto la Federazione ad attivare urgenti interlocuzioni» con le amministrazioni competenti. In ogni caso, prosegue Federfarma nazionale, si conferma che «tutti i dpi (che in quanto tali presentano, correttamente, il codice en 149:2001+A1:2009) sono comunque estranei al Protocollo d’intesa e, pertanto, nulla hanno a che vedere con le disposizioni riguardanti il rimborso».
«Anche se non lo ammette esplicitamente» è il commento di Giampiero Toselli, segretario di Federfarma Milano «Roma ci dà ragione: le mascherine che recano il codice en 149:2001+A1:2009 non rientrano nell’accordo con il commissario Arcuri e quindi non c’è l’obbligo di venderle al prezzo imposto, perché non verranno ristorate». Nella sua lettera di risposta, tuttavia, Federfarma nazionale insiste a parlare di «anomalia» data dalla presenza di modelli di mascherina chirurgica nella categoria en 149:2001+A1:2009. «C’è all’origine un errore concettuale che commettono in molti: si pensa alle mascherine con banda orizzontale ed elastici che i chirurghi utilizzano in sala operatoria e si applica la definizione a tutti i modelli somiglianti per forma. Ma non è così: la differenza sta nel potere filtrante della mascherina, non nella sua forma. Si capisce che Federfarma incorre in tale errore quando allega alla lettera di risposta la foto di una mascherina tipo ffp1, che definisce chirurgica (vedi sotto, ndr). Però chirurgica non è, si tratta in realtà di una mascherina facciale filtrante, come indica la sigla stessa: ffp, ovvero filtering face piece».
Risolto l’equivoco sulle en 149:2001+A1:2009, trova velocemente risposta anche l’altro quesito sollevato da Federfarma Lombardia, riguardante la documentazione che le farmacie devono esibire per ottenere il «ristoro» delle mascherine vendute sottocosto: in caso di prodotti importati dai Paesi extra-Ue, vanno conservate l’autocertificazione del produttore (o dell’importatore o di colui che le ha immesse in commercio) e la dichiarazione di conformità dell’Istituto superiore di sanità, non dell’Inail perché quest’ultima riguarda soltanto le ffp.
«Il chiarimento ricevuto dalla Federazione è estremamente importante e abbiamo già provveduto a rigirarlo alle farmacie associate» prosegue Toselli «perché l’equivoco generato dalla circolare potrebbe aver indotto in questi giorni molti farmacisti ad applicare il prezzo di 0,50 euro non solo alle en 14683 ma anche alle ffp. Al momento lo sanno le associazioni titolari delle province lombarde, forse ancora non lo sanno le associazioni provinciali del resto d’Italia. Spero che Federfarma corregga al più presto con una nuova circolare, perché ogni ora che passa potrebbe essere un danno per migliaia di farmacie».