Uso del paracetamolo in gravidanza soto i riflettori dopo le dichiarazioni del presidente Usa Donald Trump e il successivo intervento della Fda (Food and drug administration), cui sono seguite le dichiarazioni di Ema, Oms, Aifa e altre organizzazioni ancora. Il caso – esploso in un attimo sul piano mediatico — mette in evidenza la difficoltà di tradurre risultati epidemiologici complessi in messaggi utili per le pazienti: un problema pratico per i farmacisti al banco, spesso primo riferimento per le future mamme.
Cosa ha detto la Fda e perché è rilevante per le etichette
Il 22 settembre 2025 la FDA ha annunciato l’intenzione di aggiornare le informazioni di prodotto sui medicinali contenenti acetaminofene (paracetamolo) per adeguarle agli esiti di alcuni studi osservazionali che hanno riportato una «possibile associazione» tra esposizione prenatale e disturbi del neurosviluppo come autismo e Adhd. Contestualmente l’Agenzia ha pubblicato un avviso rivolto ai medici (Notice to Physicians) per riassumere le evidenze, sottolineando però che non è stata stabilita una relazione causale e invitando a un uso prudente del farmaco quando clinicamente necessario.
La Fda ha motivato la scelta ricordando che negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi studi di coorte di grandi dimensioni che hanno individuato associazioni – in particolare quando l’uso è cronico durante la gravidanza – ma che tali studi restano osservazionali e quindi i risultati potrebbero dare adito ad ambiguità. L’Agenzia, quindi, non «proibisce» il paracetamolo né lo sostituisce come opzione per febbre e dolore, ma chiede maggiore chiarezza nella comunicazione verso operatori e pazienti.
La reazione delle autorità internazionali ed europee
Alla notizia sono seguite repliche rapide: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha dichiarato che al momento non esistono prove conclusive che colleghino l’uso di paracetamolo in gravidanza all’autismo, invitando le donne a seguire i consigli clinici e a non modificare autonomamente terapie necessarie. Anche l’Ema ha chiarito il 23 settembre che le raccomandazioni in Ue restano invariate: il paracetamolo può essere usato in gravidanza alla dose efficace più bassa e per il periodo più breve necessario. Analoghe rassicurazioni sono arrivate dall’Aifa.
La Federazione Internazionale dei Farmacisti (Fip), dal canto suo, ha pubblicato una nota congiunta in cui richiama l’attenzione sulla natura non definitiva delle evidenze e sul ruolo dei farmacisti nel fornire informazioni bilanciate, scoraggiando allarmismi e sottolineando che il rischio principale rimane l’uso scorretto (sovradosaggio o somministrazione simultanea di più prodotti contenenti paracetamolo).
Il contesto scientifico: cosa dicono gli studi
La letteratura include lavori con risultati discordanti: alcuni grandi studi di coorte hanno rilevato associazioni statistiche tra esposizione prenatale prolungata e alcuni outcome neurocomportamentali, altri hanno evidenziato effetti minimi o attribuibili a fattori confondenti (per esempio condizioni materne che causano sia febbre sia l’uso del farmaco). Per questo gli enti regolatori insistono sul fatto che un’associazione osservata non equivale a causalità.
Le ricadute per i farmacisti
Il caso mette in luce come scelte lessicali e regolatorie (un «label change» negli Usa vs comunicati rassicuranti in Europa) possano amplificare confusione e timori. Per i farmacisti la sfida è duplice: tradurre messaggi regolatori complessi in consigli pratici e mantenere credibilità in presenza di notizie forti che circolano sui media. La raccomandazione condivisa dalle autorità e dalle società scientifiche è semplice e concreta: informare, rassicurare quando possibile, e indirizzare le pazienti al medico quando la situazione lo richiede.