Dietro alla farmacia dei servizi si «nasconde un progetto politico preciso: rendere le farmacie appetibili ai grandi capitali, smantellando la rete di strutture sanitarie accreditate e mettendo a rischio la tutela della salute pubblica». È l’ultima accusa che arriva dall’Uap, Unione ambulatori, poliambulatori e ospedalità convenzionata, che in un comunicato diffuso ieri torna a prendersela con il tavolo tecnico convocato l’8 luglio scorso dal ministero della Salute alla presenza di farmacie, Ordine dei biologi e Federlab.
Da lì, è l’accusa dell’Uap, verrà fuori «il nuovo protocollo operativo che dal 1° gennaio 2026 stabilizzerà la sperimentazione (telemedicina, diagnostica di prima istanza, fisioterapia) e definirà la ripartizione dei fondi statali». Al tavolo però non partecipano laboratori, professioni sanitarie e cittadini, «in violazione dei principi di trasparenza sanciti dalla legge 241/1990».
Inoltre, continua la nota, «solo le farmacie con forti capitali o già acquisite da gruppi sostenuti da private equity potranno erogare servizi ad alto valore, spingendo le piccole realtà di quartiere alla chiusura». Laboratori e poliambulatori, dal canto loro, devono sopportare «tagli tariffari fino al 70% a causa del nuovo nomenclatore, tagli che hanno favorito fallimenti e acquisizioni da parte di fondi stranieri. Lo stesso copione minaccia ora la distribuzione farmaceutica».
Da qui cinque richieste che l’Uap rivolge al Ministero: riapertura immediata di un tavolo plurale con Regioni, Ordini, società scientifiche e associazioni dei cittadini; applicazione integrale del D.lgs 502/1992, ovvero autorizzazioni, accreditamenti, direttore sanitario e controlli di qualità come per ogni struttura sanitaria; trasparenza su dati e tariffe con la pubblicazione online semestrale di volumi e indicatori di esito; limiti alle concentrazioni, cioè con oltre 4 farmacie per Comune o 50 per provincia, acquisizioni sottoposte a parere di Antitrust e ministero; tutela della prossimità, ovvero incentivi e vincoli programmatori per salvaguardare le farmacie di quartiere.
Ma contro la farmacia dei servizi scendono ora in campo anche gli Ordini dei medici laziali. In una lettera inviata al presidente della Regione Francesco Rocca, i presidenti provinciali Omceo di Frosinone, Latina, Rieti, Roma e Viterbo esprimono «forte preoccupazione» per l’avvio della sperimentazione laziale sulla telemedicina in farmacia. «In questi giorni» spiegano i presidenti di ordine «sono numerose le segnalazioni e le richieste di chiarimento pervenute da medici operanti presso laboratori analisi e strutture accreditate, i quali lamentano un’evidente disparità di trattamento».
Le lamentele sono le stesse dell’Uap: per ottenere l’autorizzazione all’erogazione delle prestazioni, laboratori e strutture sono sottoposti «a percorsi amministrativi lunghi, complessi e onerosi, dal punto di vista economico e organizzativo, mentre per le farmacie sembrerebbe sufficiente la semplice appartenenza alla categoria».
Allo stesso modo, continua la lettera, «alcune organizzazioni di rappresentanza della medicina generale e della medicina specialistica ambulatoriale convenzionata e interna chiedono perché tale facoltà di effettuare esami medici specialistici venga concessa ai farmacisti e negata ai medici». Per tali ragioni, gli Ordini dei medici laziali chiedono «con urgenza un incontro con i rappresentanti istituzionali della Regione per un confronto costruttivo su questo tema, al fine di tutelare la professionalità dei medici, garantire una corretta applicazione delle norme vigenti e soprattutto salvaguardare la salute dei cittadini».