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Biosimilari, nel 2024 consumi oltre il 50%. Ma restano gap regionali

8 Luglio 2025

Nel 2024, per la prima volta, i farmaci biosimilari hanno conquistato oltre la metà dei consumi nazionali: le 20 molecole oggi in commercio hanno infatti assorbito il 51,2% del mercato a volumi, un traguardo che conferma il ruolo crescente di questi medicinali nel garantire sostenibilità al Servizio sanitario nazionale e accesso equo alle cure, soprattutto per i pazienti cronici. È quanto emerge dall’annuale convegno dell’Italian Biosimilar Group (Ibg) di Egualia, ospitato ieri a Roma, che ha riunito esperti del settore, rappresentanti delle istituzioni, associazioni di pazienti e clinici per fare il punto su opportunità e ostacoli dello sviluppo dei farmaci off patent.

Secondo i dati dell’Ufficio studi Egualia, tuttavia, il mercato nel suo complesso appare segnato da un andamento disomogeneo: se nel 2024 i biosimilari mostrano una sostanziale stabilità nei consumi (-0,2%), le vendite di tutti gli altri biologici registrano una contrazione del 4,7%. In alcune regioni, inoltre, la penetrazione dei biosimilari è ormai consolidata – come nelle Marche (69,9%), Liguria (67%), Valle d’Aosta e Piemonte (65,3%), Umbria (63%) e Sicilia (61%) – mentre in altre l’utilizzo resta sorprendentemente modesto: in Lombardia si ferma al 35,8%, in Sardegna al 34,2%, in Calabria appena al 39,7%.

Le differenze regionali, secondo Egualia, riflettono l’applicazione distorta della Legge 232/2016, che regola l’acquisto dei farmaci biologici a brevetto scaduto. «In molte Regioni si continua a favorire il primo aggiudicatario, limitando la concorrenza e ostacolando l’ingresso di altri player» ha denunciato il presidente Stefano Collatina. «È necessario armonizzare le politiche regionali, condividere buone pratiche ed affrontare insieme le sfide delle cronicità e dell’accesso. Per questo» ha aggiunto «chiediamo l’istituzione di un tavolo permanente nella Commissione Salute della Conferenza Stato-Regioni, così da evitare frammentazioni, garantire un quadro stabile e prevenire le carenze».

A supporto della necessità di una strategia condivisa e basata sull’evidenza si collocano anche i risultati del progetto Valore, promosso da Aifa e condotto da Gianluca Trifirò, ordinario di Farmacologia all’Università di Verona e coordinatore scientifico dello spin-off Inspire. Lo studio, che ha analizzato i dati di oltre 340mila utilizzatori di biologici affetti da malattie infiammatorie croniche in 16 Regioni, ha rilevato fenomeni come l’alternanza ripetuta tra originator e biosimilari e il ritorno all’originator nel 10% dei pazienti: segnali di una non piena consapevolezza da parte di pazienti e prescrittori. «Il progetto proseguirà con Vulcano» ha annunciato Trifirò «una nuova iniziativa di farmacovigilanza che costruirà un’infrastruttura dati e una rete di ricerca in grado di monitorare appropriatezza prescrittiva e profilo rischio-beneficio dei biologici in real world».

A preoccupare, inoltre, è la prospettiva di un mercato a rilascio frenato: secondo le analisi presentate da Iqvia, il 75% dei biologici in scadenza entro il 2032 non ha attualmente un biosimilare in sviluppo. A livello europeo ciò potrebbe tradursi in un mancato risparmio di 15 miliardi di euro, mentre in Italia la perdita stimata è pari a 1,7 miliardi di euro l’anno.

Sulla necessità di valorizzare l’intero comparto è intervenuto anche il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato: «I medicinali biosimilari sono una leva concreta per garantire la sostenibilità del sistema sanitario, liberando risorse da reinvestire in innovazione e assistenza» ha dichiarato. «La terapia non deve essere vista come un costo da contenere, ma come un investimento strategico in salute, qualità della vita e futuro del Ssn».