L’annullamento delle disposizioni che hanno autorizzato l’acquisto e l’esercizio di una farmacia da parte dell’amministrazione pubblica non possono andare a detrimento del privato che l’aveva venduta, cui non compete la verifica di legittimità sulle delibere emanate. È il principio con cui il Consiglio di Stato – con sentenza del 7 luglio scorso – ha di fatto riaperto il famoso caso della Farmacia degli Angeli di Verona, al centro un decennio fa di un complesso contenzioso che coinvolse l’amministrazione del capoluogo veneto, l’Agec (la municipalizzata cui fanno capo le 13 farmacie comunali) e l’Ordine dei farmacisti provinciale.
Tutto comincia nel 2009 quando il comune veronese, su delibera di giunta, acquista dagli eredi la farmacia che si affaccia su corso di Porta Nuova (l’arteria che sfocia nella centralissima piazza Bra). Dettaglio non irrilevante, il farmacista titolare era defunto nel 2007 e la scadenza dei due anni di gestione provvisoria sarebbe arrivata di lì a un paio di mesi. Con lo stesso atto con cui acquista la farmacia, il comune affida la gestione all’Agec che un anno dopo procede alla fusione per incorporazione della snc creata all’atto dell’acquisizione.
Contro la cessione si appellano al Tar Federfarma Verona e Ordine dei farmacisti, che vincono sia in primo grado (giugno 2018) sia in Consiglio di Stato (aprile 2019). Annullati per illegittimità i provvedimenti impugnati, il mese successivo l’Asl dà avvio al procedimento per la vacanza della sede farmaceutica, considerato che gli eredi non erano riusciti a vendere la farmacia nei due anni della gestione provvisoria. È allora la volta di questi ultimi ricorrere al Tar, che però nel 2022 dà loro torto affermando la natura oggettiva e non sanzionatoria della decadenza: in sostanza, dicono i giudici, le disposizioni dell’Asl sono legittime perché «era venuto meno l’atto giuridico che per legge va compiuto nel biennio di gestione straordinaria».
Gli eredi non si danno per vinti e impugnano la sentenza davanti al Consiglio di Stato, che nella sentenza pubblicata lunedì scorso dà loro ragione. «L’operato dell’amministrazione» osservano i giudici «è illegittimo perché non ha tenuto conto che il biennio concesso non si era ancora consumato». Prima del termine, infatti, la cessione era stata effettuata, precisamente in data 24 luglio 2009, quando gli eredi «avevano trasferito le quote della società che gestiva la farmacia all’Agec di Verona e la titolarità al Comune». La retroazione, quindi, va fatta risalire al 15 luglio 2009, data di adozione della deliberazione di giunta. «Pertanto, la posizione giuridica dell’interessato si riespande esattamente come configurata a quel tempo e, conseguentemente, il biennio, all’epoca del 15 luglio 2009, non poteva certamente considerarsi spirato».
Non solo: poiché negli scritti difensivi l’appellante ha evidenziato che le quote societarie originariamente cedute ad Agec ancora non gli sono state retrocesse, «il termine del biennio, per la parte residua rispetto a quella che si era già all’epoca consumata, dovrà riprendere a decorrere da quando gli interessati saranno rientrati in possesso della proprietà delle quote illegittimamente cedute, per essere messo nella giuridica possibilità di disporne», cioè vendere la farmacia.
Se non altro, la sentenza del Consiglio di Stato disinnesca gli effetti paradossali che avrebbe innescato la decisione del Tar: sancita la vacanza della sede, infatti, la farmacia prima di essere messa a concorso avrebbe potuto essere prelazionata dal comune, che avrebbe potuto così mettere le mani sulla farmacia che aveva precedentemente comprato senza sborsare un euro.