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Mmg da convenzionati a dipendenti Ssn, la bozza e i disaccordi tra Regioni

14 Maggio 2025

Passaggio progressivo nel Ssn dalla convenzione alla dipendenza con inquadramento nella dirigenza medica, nuovi criteri di remunerazione, percorso universitario ad hoc per la formazione delle nuove leve. Sono le proposte principali contenute nella bozza di riforma della medicina generale predisposta dai tecnici di Veneto, Lazio e Friuli Venezia Giulia, che ora dovrà essere discussa con le altre Regioni e il ministero della Salute.

Il documento – anticipato dal quotidiano la Repubblica – prevede una profonda revisione del modello vigente, a partire proprio dal rapporto di lavoro: il sistema della convenzione andrebbe “ad esaurimento”, cioè rimarrebbe valido per i medici già in attività, a meno che non optino per il passaggio immediato alla dipendenza. I nuovi ingressi – medici e pediatri che frequentano i corsi di formazione al momento dell’entrata in vigore della riforma – entrerebbero invece direttamente negli organici delle Asl.

I professionisti così inquadrati sarebbero inseriti nel ruolo sanitario della dirigenza medica, al pari degli ospedalieri, e la loro attività si articolerebbe in turni orari da svolgere nelle articolazioni territoriali del distretto, in particolare nelle Case di Comunità, dove oggi il personale scarseggia. Per i medici con un bacino tra 1.200 e 1.500 assistiti, la bozza prevede 38 ore settimanali di cui 21 da dedicare all’assistenza e le restanti a compiti aziendali.

Si introduce inoltre una nuova logica retributiva: accanto alla quota capitaria (cioè per assistito, che resta) verrebbe valorizzato l’orario di lavoro e una parte della retribuzione andrebbe legata al raggiungimento di obiettivi concordati. Intanto, chi resta convenzionato dovrà comunque contribuire con attività nelle strutture territoriali.

Un punto critico della bozza riguarda la formazione. Entro cinque anni dall’approvazione della legge, l’attuale corso regionale triennale in medicina generale andrà integrato con un anno aggiuntivo, per l’equiparazione con la futura specializzazione universitaria in “medicina di comunità e delle cure primarie”, della durata di quattro anni. L’obiettivo è rendere la formazione più strutturata, accademica e omogenea con il resto delle professioni mediche.

Ma il percorso della riforma è tutt’altro che in discesa. Sul testo pesa la forte contrarietà delle sigle dei medici di famiglia e della loro cassa previdenziale, l’Enpam, ma anche le divergenze tra le stesse Regioni. Non tutte, infatti, sarebbero d’accordo con il superamento del convenzionamento, che viene visto da alcune amministrazioni come una garanzia di flessibilità e prossimità. La stessa Emilia-Romagna si è sfilata dai lavori della sottocommissione tecnica che ha elaborato il documento.

Non è chiaro, inoltre, quale sia la posizione definitiva del ministero della Salute e del Governo. Secondo Repubblica, c’è chi sospetta che la maggioranza di centrodestra stia lasciando alle Regioni il compito di proporre il passaggio alla dipendenza, per poi bloccare la riforma a livello nazionale e presentarsi come “salvatrice” della categoria. In cambio, però, il governo potrebbe ottenere dai medici un maggior impegno nelle Case di Comunità, snodo essenziale del Pnrr per il rafforzamento dell’assistenza territoriale.

Infine, la bozza lascia in sospeso alcuni nodi, tra cui le modalità con cui i pazienti potranno continuare a scegliere il proprio medico anche in regime di dipendenza. La questione è rinviata ad «altri strumenti normativi», segno che il cantiere della riforma è ancora aperto e che la strada verso una riorganizzazione della medicina del territorio è lunga e incerta.