Il professionista che ricorre a una pubblicità sanitaria dal contenuto marcatamente commerciale – che utilizza termini come “low cost” e “gratis” – per comunicare i propri servizi, viola i principi stabiliti dal Codice deontologico. È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza 2580 del 2024, che conferma una decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (Cceps). La questione riguardava un odontoiatra spezzino sanzionato dall’Ordine dei medici per aver pubblicizzato trattamenti odontoiatrici in modo ritenuto irrispettoso della dignità e del decoro professionale.
Secondo il Codice deontologico, la pubblicità informativa in ambito sanitario deve sempre rispettare criteri di veridicità, correttezza e trasparenza, e non deve mai essere «equivoca, ingannevole o denigratoria». Nel caso in esame, il dentista aveva promosso la realizzazione di impianti, corone e protesi mobili attraverso slogan come «servizio low cost» e «gratis», messaggi che la Cassazione ha giudicato contrari a questi principi.
Il dentista si era appellato sostenendo che, con l’abrogazione del divieto di pubblicità informativa per i professionisti, stabilita dal decreto Bersani (dl 223/2006), fosse ora legittimo reclamizzare prestazioni gratuite al fine di fidelizzare i clienti. Tuttavia, questa interpretazione non è stata accolta dalla Cassazione, che ha ribadito come la liberalizzazione della pubblicità per i professionisti non escluda la possibilità di sanzionare il modo in cui essa viene realizzata.
La Corte ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, nonostante l’abrogazione del divieto di pubblicità informativa, resta fermo «il rilievo disciplinare delle modalità e del contenuto con cui la pubblicità viene realizzata» (Cassazione, Sezioni unite, 14368/2012). In altre parole, gli Ordini professionali continuano a mantenere il potere di controllo sulla trasparenza e sulla veridicità della pubblicità dei propri iscritti e, in caso di violazioni, possono applicare le relative sanzioni disciplinari.
La Cassazione ha inoltre ribadito che la pubblicità informativa in ambito sanitario deve rispettare le finalità della professione, senza trasformarsi in un mezzo per ottenere vantaggi competitivi rispetto ad altri professionisti attraverso slogan o promesse commerciali. In una sentenza del 2010 (Cassazione, Sezioni unite, 18 novembre), si evidenziava come «il ricorso agli slogan sia poco idoneo all’informazione», poiché l’intento principale è attrarre clienti piuttosto che fornire informazioni corrette e utili al paziente.
Questa posizione è stata confermata anche dalla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, che in una decisione del gennaio 2020 ha ritenuto ingannevoli cartelloni pubblicitari con messaggi come «Senza taglio, senza punti, senza dolore, consegna in un’ora». Secondo la Commissione, tali slogan trascurano di precisare che in alcuni casi l’implantologia proposta potrebbe non essere praticabile, inducendo così in errore i pazienti.
Uno degli aspetti più delicati del dibattito riguarda l’utilizzo di messaggi pubblicitari focalizzati esclusivamente sulle caratteristiche economiche delle prestazioni. Sebbene sia lecito fornire informazioni su tariffe o offerte limitate nel tempo, queste non devono costituire «l’aspetto esclusivo del messaggio informativo». La Commissione centrale, nella sua decisione del 2020, ha affermato che messaggi del tipo «Apparecchio fisso completo solo € 52 al mese, per 48 mesi anticipo zero, interessi zero» sono ingannevoli e non rispettano i principi di correttezza e trasparenza richiesti alla professione medica.