previdenza

Contributo Enpaf 0,50%, a sorpresa interpretazione chiama in causa i titolari

14 Giugno 2019

Anche le società di persone in cui i farmacisti partecipano in quota preponderante ma i non farmacisti sono in maggioranza devono pagare all’Enpaf lo 0,50% del fatturato iva dovuto dalle società di capitale. E’ l’amara scoperta che molti titolari stanno facendo in questi giorni, con l’arrivo dall’ente di previdenza delle prime comunicazioni che invitano a versare il contributo introdotto dalla Legge di Bilancio per il 2018. Il caso più eclatante raccontato dal tam tam dei social è quello di una farmacista, socia accomandataria di una sas al 90% nella quale figurano anche i due figli (entrambi non farmacisti) con ciascuno la metà del restante. Nonostante la partecipazione nettamente maggioritaria dell’interessata, l’Enpaf ha chiesto alla società di versare la quota dello 0,50%, cui poi va aggiunto lo 0,90% (sul fatturato Ssn) dovuto dalla farmacia e la contribuzione soggettiva dovuta dalla farmacista.

C’è chi ha pensato a un errore ma non è così. L’ente di previdenza non ha fatto che applicare l’articolo 1 del Regolamento approvato dal Consiglio di amministrazione nel novembre scorso e ratificato dai Ministeri competenti nel marzo scorso. Il quale, a sua volta, è la fedele trascrizione dell’articolo 1, comma 441, della legge 205 del 29 dicembre 2017 (la Manovra 2018, per l’appunto), che recepisce l’emendamento Mandelli-D’Ambrosio Lettieri approvato un mese prima dalla commissione Bilancio del Senato: «le società di capitali nonché le società cooperative a responsabilità limitata e le società di persone, titolari di farmacia privata, rispettivamente con capitale maggioritario di soci non farmacisti o con maggioranza di soci non farmacisti, versano all’Enpaf un contributo pari allo 0,50% del fatturato annuo al netto dell’iva».

La norma venne salutata con soddisfazione dai vertici di Fofi e di Federfarma perché avrebbe salvaguardato i conti dell’Enpaf e costretto le società di capitale a contribuire alla previdenza della professione (evitando che un calo della popolazione dei titolari causa sviluppo delle catene mettesse a rischio la stabilità della Fondazione). E nessuno, a quanto risulta, ebbe da ridire quando tra autunno e primavera l’ente di previdenza approvò il Regolamento sul prelievo dello 0,50%. Sembra sia passata del tutto inosservata anche la lettera con cui il 19 aprile scorso, in risposta al quesito di un farmacista, lo stesso Enpaf fornisce «un’interpretazione palese, sia sotto il profilo letterale, sintattico e semantico, sia sotto il profilo funzionale-teleologico» del comma 441: le società di capitali, dice in sostanza l’ente, sono tenute a versare il controbuto quando la maggioranza delle quote appartiene a soci non farmacisti; le società cooperative e di persone, invece, sono soggette alla stessa contribuzione quando a essere maggioritario è il numero dei soci non farmacisti. In soldoni, si contano le teste.

Di questa interpretazione, a quanto pare, sono all’oscuro parecchi dei farmacisti che in questi giorni si sono visti recapitare la comunicazione dell’ente. E anche in Federfarma non tutti sembrano esserne al corrente. Così come quasi nessuno, quando la Legge di Bilancio venne approvata, fece osservare i rischi insiti in quella formulazione. «Io ci provai» ricorda a FPress Pasquale Sechi, presidente di Federfarma Oristano ed esperto di questioni previdenziali della categoria «ma non ottenni grande attenzione. Sembravano tutti in altre faccende affaccendati».

La mancanza in cui è incappato il sindacato titolari è rilevante, perché se ci fosse stata consapevolezza si sarebbe potuto avvertire per tempo quei farmacisti che, una volta approvata la Legge sulla concorrenza, hanno aperto la proprietà della farmacia a figli o parenti non farmacisti, per mantenere il bene in famiglia. Le “scappatoie” per sottrarsi al contributo c’erano e ci sono. «Se in una società di persone i non farmacisti sono più dei farmacisti» spiega il presidente dell’Enpaf, Emilio Croce «basta ridurre i primi oppure aumentare gli altri e arrivare alla parità: l’obbligo dello 0,50% sparisce». «E’ un caso che è capitato diverse volte» confermano i commercialisti bolognesi Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta «si allarga il numero dei soci con un farmacista e si risolve il problema».

Non risulta però che la Federazione abbia mai fornito indicazioni di questo tenore alle proprie rappresentanze territoriali, che talvolta – dopo l’approvazione della Legge sulla concorrenza – hanno invece consigliato ai propri associati di far entrare familiari e parenti non iscritti all’albo. Chi ha seguito il suggerimento si trova ora sottoposto a un salasso imprevisto e consistente.