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Concorso straordinario, aggirare l’incumulabilità potrebbe essere boomerang

3 Settembre 2020

I farmacisti che con il concorso straordinario vincono due farmacie in altrettante regioni e poi non provvedono a risolvere per tempo l’incompatibilità (consentendo la riassegnazione di quella rinunciata) potrebbero anche finire per restare senza sede. E’ l’eventualità profilata dall’ordinanza del Consiglio di Stato del 3 agosto scorso, relativa al ricorso presentato nel giugno 2019 da due farmaciste per un contenzioso sulla cumulabilità delle sedi. La coppia, infatti, aveva partecipato al concorso straordinario toscano e a quello laziale, vincendo nel primo caso una farmacia a Livorno (marzo 2016, le date sono importanti) e nel secondo ad Aprilia (provincia di Latina, luglio 2017).

Nel gennaio successivo il comune della città laziale segnala alle dottoresse l’incompatibilità e le invita a rimuoverne la causa entro 180 giorni, ossia a scegliere la sede cui rinunciare perché venga rimessa a interpello. Quindi, scaduti i termini, nel luglio 2018 l’amministrazione comunale annulla l’autorizzazione, cui fa seguito la revoca della convenzione da parte dell’Asl.

Le farmaciste impugnano i provvedimenti davanti al Tar Lazio, sostenendo che le farmacie fanno capo a due diverse società di gestione, delle quali sono soltanto socie. Nel febbraio 2019, tuttavia, il Tribunale dà loro torto: sebbene i vincitori di un concorso straordinario «abbiano la possibilità di gestire in forma associata o societaria un’attività speziale» scrivono i giudici «la titolarità della stessa rimane incardinata in capo ai singoli soci, i quali soggiacciono agli obblighi stabiliti dall’articolo 112 del Tuls, che vieta il cumulo di due o più autorizzazioni in capo a una sola persona».

Nel giugno 2019 le farmaciste impugnano la sentenza del Tar davanti al Consiglio di Stato e subito a ruota (a luglio) dispongono la donazione delle quote della farmacia di Livorno ai rispettivi coniugi. Nel febbraio 2020 il Consiglio di Stato conferma la sentenza di primo grado e l’incumulabilità delle sedi vinte, ma dispone approfondimenti in merito alla situazione delle due farmacie. Si arriva così all’ordinanza del 3 agosto, nella quale il Consiglio di Stato prende atto che la sede toscana non è più «nella disponibilità» delle due farmaciste e quella di Aprilia è stata «congelata» ed esclusa dagli interpelli laziali successivi.

Ne consegue, scrivono i giudici nell’ordinanza, che «l’appello diventa improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, non essendo più possibile per le appellanti raggiungere il bene della vita cui aspiravano con l’impugnazione della determinazione del Comune di Aprilia». La donazione ai mariti della farmacia di Livorno, infatti, «rende impossibile riassegnare alle dottoresse la sede di Aprilia, perché non potrebbe più essere messa a interpello quella di Livorno». A meno che, avvertono i giudici, la donazione stessa «non sia condizionata», cosa che consentirebbe alle interessate di recuperare la titolarità della farmacia e quindi consentirne la riassegnazione ad altri. Per appurarlo, l’ordinanza del Consiglio di Stato dà alle parti tempo fino al 15 settembre per presentare ulteriori memorie e atti. E fissa a data successiva l’udienza di merito.