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Pubblicità sanitaria più etica e segnalazioni degli Ordini all’Agcom

3 Gennaio 2019

Giro di vite per i professionisti e le strutture sanitarie che ricorrono alla pubblicità per reclamizzare tariffe, condizioni commerciali di prodotti e servizi così come eventuali campagne promozionali. A impartirlo due paragrafi della Legge di Bilancio per il 2019, approvata in via definitiva dalla Camera il 30 dicembre: si tratta dei commi 525 e 536 dell’articolo 1, che bandiscono dalla comunicazione dei professionisti sanitari le iperboli e gli eccessi creativi con cui i pubblicitari sono soliti attirare, meravigliare, imbonire. Le nuove disposizioni riguardano anche i farmacisti, come chiarisce in apertura il primo dei due commi: sono interessati alle nuove misure, infatti, «le strutture sanitarie private di cura e gli iscritti agli albi degli Ordini delle professioni sanitarie di cui al capo II della legge 3/2018 (il ddl Lorenzin, ndr), in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività». Strutture e professionisti, prosegue il comma 525, possono d’ora in avanti reclamizzare soltanto «le informazioni di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legge 223/2006», dirette «a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, escluso qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo, nel rispetto della libera e consapevole determinazione del paziente, a tutela della salute pubblica, della dignità della persona e del suo diritto a una corretta informazione sanitaria».

Il riferimento al dl 223/2006, il decreto Bersani, dà la cifra delle nuove disposizioni: in sostanza, la Legge di Bilancio conferma le disposizioni di allora, che autorizzavano i professionisti «a svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio». «Con questo intervento» spiega il presidente dell’Ordine dei medici di Milano, Roberto Carlo Rossi, tra coloro che da lungo tempo si battevano per un giro di vite sulla comunicazione al pubblico in campo sanitario «ci riallineiamo allo spirito delle direttive europee: è legittimo che il professionista informi i consumatori su prezzi, tariffe e sconti che pratica, ma per l’appunto dev’essere informazione, non accaparramento della clientela tramite pubblicità dirette soltanto ad abbagliare». «D’ora in poi» aggiunge Raffaele Iandolo, presidente nazionale dell’Albo odontoiatri, anch’egli tra coloro che hanno lavorato per arrivare a questo risultato «la comunicazione al pubblico potrà contenere esclusivamente gli elementi funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, escludendo qualsiasi contenuto di carattere promozionale o suggestivo».

Enfatizza questa affermazione del principio “informazione sì, pubblicità no” anche il comma 536, che non solo conferma la vigilanza degli Ordini (anche tramite interventi disciplinari sugli iscritti) ma affida in più agli stessi Ordini la potestà di segnalare eventuali violazioni «all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti sanzionatori di competenza». Quest’ultimo passaggio, sono i commenti che circolano tra medici e odontoiatri, va considerato un’altra importante vittoria. Perché chiama in campo un’authority, l’Agcom, che sul tema mostra orientamenti più vicini alle istituzioni ordinistiche di quelli dell’Antitrust, di tendenza “ultraliberista”. All’Ordine dei medici si ricorda ancora lo scontro del 2014, quando il Garante della concorrenza inflisse una sanzione di 830mila euro per i procedimenti disciplinari avviati nei confronti di medici e dentisti che avevano pubblicato proposte commerciali sulla piattaforma Groupon.