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Da una sentenza del Consiglio di Stato il punto sulla Pianta organica

25 Maggio 2018

E’ «connaturale» alla riforma del 2012 che le delibere comunali per l’istituzione di una nuova sede farmaceutica vadano a impattare sulla Pianta organica preesistente. Questo, dunque, non può rappresentare da solo motivo di illegittimità del provvedimento. E’ quanto scrive il Consiglio di Stato in una recente sentenza (2562/2018) che ha il merito di fare il punto sugli orientamenti della giurisprudenza in materia di programmazione territoriale delle farmacie.

Come si ricorderà, risale al 2013 la statuizione che riconosce al Comune la competenza sulla «formazione di uno strumento pianificatorio che sostanzialmente, per finalità, contenuti, criteri ispiratori ed effetti corrisponde alla vecchia pianta organica e che niente vieta di chiamare con lo stesso nome». Tale principio è stato poi riaffermato nel 2015, con la precisazione che «il Comune deve comunque individuare le zone di pertinenza delle singole sedi farmaceutiche».

Altro passo nel 2016, quando il Consiglio di Stato afferma che la finalità di garantire l’accessibilità degli utenti al servizio distributivo dei farmaci non può significare che occorra procedere all’allocazione delle nuove sedi in zone disabitate o del tutto sprovviste di farmacie, né può significare che debba essere evitata la sovrapposizione geografica e demografica con le zone di pertinenza delle farmacie già esistenti. E’ «fisiologica e del tutto rispondente alla ratio della riforma» scrivono i giudici «l’eventualità che le nuove zone istituite dai Comuni o dalle Regioni incidano sul bacino d’utenza di una o più sedi preesistenti».

La sentenza più recente, dunque, non rappresenta che l’estensione di tale ragionamento: è perfettamente in linea con la riforma introdotta dal decreto legge 1/2012 che l’istituzione di una nuova sede da parte del comune vada a incidere sulla Pianta organica, dunque tale motivo non è sufficiente per impugnare la delibera. A meno che, continua il Consiglio di Stato, la discrezionalità di cui l’amministrazione comunale gode in tali scelte non sconfini «nell’illogicità o nell’irragionevolezza».

Nella stessa sentenza i giudici amministrativi d’appello hanno anche ribadito i principi – ormai consolidati – che devono guidare il comune nella localizzazione delle nuove sedi. In sintesi:

  • la discrezionalità del Comune: nell’organizzazione della dislocazione territoriale del servizio farmaceutico, il Comune dispone di ampia discrezionalità in quanto la scelta conclusiva si basa sul bilanciamento di interessi diversi attinenti alla popolazione, attuale e potenzialmente, alle vie e ai mezzi di comunicazione. La scelta conclusiva, dunque, è sindacabile solo sotto il profilo della manifesta illogicità ovvero dell’inesatta acquisizione al procedimento degli elementi di fatto presupposto della decisione;
  • l’equa distribuzione sul territorio: la finalità è quella di estendere il servizio farmaceutico alle aree meno abitate, ma «non è prescritta come tassativa né come esclusiva, in quanto il criterio prioritario è quello della equa distribuzione sul territorio». Non si può dunque pretendere che una nuova sede venga localizzata, necessariamente, in una zona periferica, lontana il più possibile dalla sede della farmacia “storica” del Paese, al fine di ridurre al massimo lo sviamento di clientela. La cosiddetta liberalizzazione delle farmacie, perseguita dal dl 1/2012, non impone al Comune di prevedere l’allocazione delle nuove farmacie con priorità nelle zone scarsamente abitate, quanto piuttosto di «assicurare un’equa distribuzione sul territorio». Solo in via aggiuntiva ha introdotto il criterio che occorre tenere «altresì conto dell’esigenza di garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate»;
  • nessuna misura protezionistica: alle farmacie già insediate non possono essere garantite misure protezionistiche, in quanto anche questa categoria di operatori economici «deve in primo luogo difendersi attraverso strumenti di mercato».

Per il Consiglio di Stato, dunque, l’amministrazione deve perseguire l’interesse pubblico alla più funzionale collocazione della farmacia nel territorio comunale garantendo “la capillarità del servizio”. Ogni altra valutazione discrezionale resa dal Comune è sindacabile solo dal giudice amministrativo, al quale comunque è precluso anteporre la propria valutazione di opportunità a quella resa dall’Amministrazione comunale. La sentenza è chiara nell’affermare che la nuova disciplina di settore è stata dettata dalla finalità di aumentare il numero delle farmacie, a dimostrazione che le “rendite di posizione” non possono assumere rilievo se confrontate con l’interesse della collettività alla capillarità del servizio farmaceutico.

avvocato Silvia Cosmo