dalle regioni

Umbria, nel Piano sanitario impegni contraddittori su cronicità e servizi

30 Luglio 2019

Restano i servizi consolidati come dpc, distribuzione dell’ossigeno e integrativa. Andranno sviluppate o rafforzate attività come il Farmacup, il monitoraggio dei farmaci Tao e gli screening del rischio cardiovascolare e del tumore al colon retto. Verrà avviato il monitoraggio dell’aderenza terapeutica nell’ambito della presa in carico dei pazienti cronici con multimorbidità, in collaborazione con i medici di famiglia e con l’obiettivo di «ridurre in maniera significativa ed economicamente rilevante gli accessi inappropriati al Pronto soccorso e i ricoveri ospedalieri evitabili». E’ quanto promette alle farmacie del territorio il Piano sanitario 2019-2021 della Regione Umbria: pre-adottato a maggio ma presentato compiutamente soltanto ieri alla presenza del governatore Fabio Paparelli (foto) e dell’assessore alla Sanità Antonio Bartolini, il documento riserva ai farmacisti titolari un intero capitolo, che passa analiticamente in rassegna i progetti della Regione per il triennio in corso.

«Le farmacie convenzionate» è l’incipit «sono sempre state considerate, negli atti della programmazione sanitaria regionale, una rete di presidi sanitari territoriali funzionalmente e organizzativamente integrati nel servizio sanitario, in posizione di centralità nell’erogazione dell’assistenza farmaceutica e integrativa, in relazione alla loro capillare diffusione sul territorio, alla qualifica professionale degli operatori addetti, alla continuità del servizio attraverso i turni». Fatta questa premessa, il Piano elenca i servizi già avviati che la Regione riconferma anche nei tre anni a venire, quelli da sviluppare o potenziare (come le prestazioni analitiche di prima istanza, le attività infermieristiche e quelle fisioterapiche) e infine i servizi da costruire ex novo. E tra questi, spiccano la gestione dei pazienti cronici mediante Fascicolo sanitario elettronico, il monitoraggio in collaborazione con i medici della aderenza alla terapia dei pazienti cronici, la distribuzione di tutti i farmaci prescritti dai medici delle Reti Cliniche Integrate e Strutturate, la partecipazione all’Assistenza domiciliare integrata (Adi).

Oltre alle luci, però, dal Piano sanitario umbro emergono anche diverse ombre. In team di cronocità, per esempio, il documento afferma a chiare lettere (nel capitolo riservato alle Cure primarie) che a garantire «la presa in carico dei pazienti affetti da patologie croniche» saranno le Case della salute. «In tali strutture» prosegue il Piano «dovranno essere garantite accessibilità ai servizi e continuità degli interventi assistenziali: una risposta completa in termini terapeutici e riabilitativi». Le Case della salute, dice ancora il documento, «deve rappresentare uno stabile riferimento per tutti i medici di famiglia e pediatri di libera scelta, singoli o associati in Aft». Si tratta delle Aggregazioni funzionali territoriali, forme organizzative mono-professionali (cioè della medicina generale soltanto) «che perseguono obiettivi di salute e di attività definiti dall’Azienda e promuovono la medicina di iniziativa»: saranno composte da non più di 20 curanti (tra mmg, pediatri e medici di guardia), avranno un bacino di assistiti non superiore ai 30mila abitanti e garantiranno attività ambulatoriale h12.

E’ evidente che per erogare servizi diagnostici e infermieristici (ai cronici ma non solo) così come per monitorare l‘aderenza, le farmacie dovranno cercare un coordinamento o un’integrazione con Aft e Case della salute. Ma il Piano umbro non fornisce alcuna indicazione al riguardo. Anzi, sempre nel capitolo dedicato alle Cure primarie il documento s’inventa a un certo punto le Comunità di pratica, un «modello inclusivo e partecipativo» nella cui cornice dovranno collaborare un nutrito elenco di figure («mmg, pediatri di libera scelta, medici specialisti (ospedalieri, ambulatoriali, fisiatri e geriatri e via a seguire) Adi, Uvmd, referenti dei servizi di dimissioni ospedaliere, assistenti sociali e psicologi, associazioni dei malati, direttori dei distretti, dirigenti delle strutture aziendali, farmacisti, servizi informatici eccetera». E’ evidente che quando parla di farmacisti il Piano si riferisce agli ospedalieri, dunque nelle Comunità che dovranno «definire i piani di gestione della cronicità/fragilità, avviare modelli di clustering della popolazione, condividere/implementare i percorsi clinico-assistenziali specifici, organizzare gli accessi e monitorare nel tempo le attività verso la popolazione fragile e cronica» le farmacie del territorio non hanno posto. E quindi, almeno sulla carta, potranno soltanto subire decisioni e strategie decise da altri.

La stessa sensazione ritorna in quella parte del capitolo sulle Cure primarie in cui è scritto a chiare lettere che «il Piano Regionale della Cronicità individua nel Chronic care model la risposta più efficace alla gestione della cronicità». Tale modello già adottato da diversi anni dalla Regione Toscana, si impernia su un approccio di medicina di iniziativa e su «azioni di prevenzione primaria che valorizzano le Cure primarie, la ricerca attiva dei pazienti o di coloro che sono a rischio di sviluppare una patologia e la condivisione di Pdta (Prcorsi diagnostico-terapeuitici e assistenziali) tra tutti gli operatori coinvolti». Il Chronic care molel, in sostanza, «permette di garantire una rete di servizi che supporti realmente il paziente nella gestione consapevole e informata della propria patologia. La sanità di iniziativa ha inoltre il grande vantaggio di migliorare l’equità di accesso ai servizi, recuperando attivamente quei cittadini che hanno impossibilità o difficoltà ad accedervi». Ma anche qui, ci sarà da capire in quali spazi potrà infilarsi la farmacia dei servizi.