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Decadenza dalla titolarità, il CdS: al farmacista va sempre garantita la difesa

22 Settembre 2021

È illegittimo il provvedimento che dispone la decadenza dalla titolarità di un farmacista al quale non è stata prima assicurata la possibilità di esporre la propria difesa. È quanto si legge nella decisione 6288/2021 del Consiglio di Stato dove si afferma che non è rinvenibile un principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto lesivo dei propri interessi, di riferire preventivamente all’amministrazione le ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria.

Può sembrare banale come principio ma non lo è affatto: una vicenda a dir poco rocambolesca nei suoi contorni fattuali ha offerto lo spunto per rimarcare l’importanza delle garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo, prima fra tutte l’obbligo di comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento a suo carico.

La questione prende spunto dalla vicenda di una farmacista che ha subito la decadenza dalla titolarità della farmacia senza ricevere, a quanto si legge nella decisione in commento, alcuna comunicazione che le consentisse di interloquire con la pubblica amministrazione prima dell’irrogazione della sanzione in questione.

Più in dettaglio la farmacista, socia accomandataria di una società di gestione di farmacia e altresì socia di un’altra società, è stata dichiarata fallita come conseguenza del fallimento di quest’ultima azienda; la situazione le ha impedito di gestire e rappresentare la società di farmacia che si è trovata così impossibilitata ad agire ed esprimere la propria volontà.

Prima del fallimento la farmacista aveva altresì trasferito la farmacia e il connesso dispensario in altra società a mezzo di atto notarile la cui efficacia era stata momentaneamente sospesa in attesa delle necessarie autorizzazioni amministrative.

Il fallimento, tuttavia, avrebbe spinto la farmacista alla chiusura dell’esercizio anche se, si legge nella sentenza, l’Asl avrebbe dettato disposizioni per garantire comunque l’assistenza farmaceutica e le prestazioni sanitarie connesse.

Da qui la chiusura non autorizzata e protratta per un periodo superiore a 15 giorni che ha determinato l’irrogazione della sanzione della decadenza dell’autorizzazione all’esercizio della farmacia come previsto dall’articolo 113 del Testo unico delle leggi sanitarie.

Sorvolando sulle complicate questioni di natura processuale affrontate dal Collegio, rileva che la farmacista ha contestato alla Asl di non averle consentito di fornire elementi a sua difesa in sede di avvio del procedimento di decadenza e del diniego di trasferimento della farmacia e del dispensario; dal canto suo, la Amministrazione ha sostenuto che la farmacia sarebbe stata chiusa senza ottemperare alle prescrizioni ricevute che imponevano di tenerla aperta.

Per il Consiglio di Stato la tesi dell’Amministrazione non può essere condivisa perché la gravità degli effetti derivanti dalla decadenza imponevano che le garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo dovessero necessariamente essere osservate prima della decadenza e del diniego al trasferimento dell’autorizzazione.

In altre parole, la farmacista avrebbe dovuto essere avvisata dell’avvio del procedimento di decadenza a suo carico ed essere messa in condizione di interloquire con l’Amministrazione anche per il caso di mero accertamento della chiusura della farmacia e in assenza di esercizio di potere discrezionale da parte dell’Amministrazione.

Per il Consiglio di Stato, infatti, la comunicazione di avvio del procedimento per consentire al privato la facoltà di intervenire nella procedura attivata dalla Pa sussiste anche quando si tratti di «atti di natura vincolata» cioè emanati previo semplice accertamento dei requisiti stabiliti dalla legge e in assenza di scelte «discrezionali» della Pa.

La chiusura della farmacia protratta per 15 giorni da cui è conseguita la decadenza rappresenta appunto il requisito “accertato” da cui è conseguita la decadenza e ciò, secondo il supremo Consesso, non avrebbe dovuto impedire l’applicazione delle garanzie di partecipazione del cittadino che riguardano anche «l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa».

Deve, in altri termini, essere sempre garantita al privato, attraverso la partecipazione attiva al procedimento attivato dalla Pa, la facoltà di provare sul piano amministrativo l’inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma che si ritiene violata.

avvocato Silvia Cosmo