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Dengue e chikungunya, Italia sempre più a rischio dicono Iss e Fbk

12 Luglio 2025

La diffusione di dengue e chikungunya, malattie virali trasmesse dalla zanzara tigre (Aedes albopictus), non è più un fenomeno esclusivamente esotico. In Italia, come in molte altre aree dell’Europa meridionale, i casi autoctoni – cioè contratti senza viaggi all’estero – sono in costante aumento. È il dato allarmante che emerge da uno studio appena pubblicato su Nature Communications, frutto della collaborazione tra Fondazione Bruno Kessler (Fbk), Istituto Superiore di Sanità (Iss), Ministero della Salute e Regioni/Province Autonome.

L’indagine ha esaminato la trasmissione locale di dengue e chikungunya dal 2006 al 2023, confermando 1435 casi importati di dengue e 142 di chikungunya, con infezioni contratte principalmente in paesi come Thailandia, Cuba, India e Brasile. Ancora più significativo, però, è il dato sui contagi autoctoni: 388 per la dengue e 93 per la chikungunya. Si tratta di infezioni verificatesi senza che il paziente fosse stato all’estero, il che indica una circolazione dei virus all’interno del territorio nazionale, favorita dalla presenza della zanzara tigre e da condizioni climatiche favorevoli.

Le zone più vulnerabili? Coste e periferie urbane di tutta Italia, dove la densità del vettore e il clima rappresentano un terreno fertile per lo sviluppo di focolai. «Tutte le aree in cui si è verificata una trasmissione locale e focale dei due virus in Italia erano fra quelle identificate ad alto rischio nella nostra analisi» scrivono i ricercatori. Ma non solo: lo studio ha individuato molte altre zone con caratteristiche ambientali simili, potenzialmente esposte a futuri focolai in caso di importazione dei virus dall’estero.

Da qui l’invito a rafforzare la sorveglianza attiva e a non limitare l’attenzione soltanto alle aree già colpite. «Questo implica che le misure di prevenzione e di sorveglianza devono essere orientate verso le aree con condizioni ambientali favorevoli, sia che abbiano già avuto focolai, sia che non abbiano ancora identificato casi contratti sul territorio» prosegue lo studio.

Uno dei punti critici, sottolineano gli autori, è il ritardo nella diagnosi: «Nelle regioni non endemiche, come l’Italia, è importante aumentare la consapevolezza delle patologie emergenti trasmesse da vettori – spiegano – perché una diagnosi ritardata o mancata rallenta il rilevamento dei focolai e quindi la possibilità di controllarli».

Il fattore tempo è decisivo. Una volta identificato un focolaio, l’indice di trasmissibilità viene infatti rapidamente portato sotto la soglia epidemica. Tuttavia, questo non basta: servono conoscenza clinica diffusa, formazione del personale sanitario e consapevolezza nei cittadini, soprattutto tra coloro che rientrano da paesi dove queste malattie sono endemiche.

Secondo l’Iss, la recrudescenza dei casi autoctoni in Italia e nel sud Europa è legata a tre fattori principali: la ripresa dei viaggi internazionali dopo la pandemia, l’espansione geografica degli insetti vettori e l’aumento delle epidemie nei paesi tropicali e sub-tropicali.

Nei primi sei mesi del 2025, in Italia sono stati confermati 68 casi di dengue e 22 di chikungunya, tutti associati a viaggi all’estero, ma in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Accanto a dengue e chikungunya, la sorveglianza nazionale monitora anche altri arbovirus, come il virus Zika (di cui si registrano quasi esclusivamente casi importati) e patologie ormai considerate endemiche come West Nile, Usutu, l’encefalite da zecca (Tbe) e le infezioni neuro-invasive da virus Toscana.