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Fascicolo sanitario elettronico, Gimbe: consensi ancora troppo bassi

17 Luglio 2025

Il Fascicolo sanitario elettronico (Fse) continua a essere un’opportunità in gran parte ancora inespresso. È quanto emerge dall’ultima indagine condotta dalla Fondazione Gimbe, che fotografa l’adozione del Fse da parte di cittadini e medici con particolare attenzione alla disponibilità dei documenti clinici e all’effettivo utilizzo della piattaforma. I risultati evidenziano significative disparità regionali, che rischiano di acuire le diseguaglianze nell’accesso alle cure.

Uno dei dati più critici riguarda il consenso alla consultazione del Fse: a livello nazionale, al 31 marzo 2025, solo il 42% dei cittadini ha autorizzato l’accesso ai propri dati sanitari da parte dei professionisti della salute. Le differenze tra Regioni sono abissali: in Emilia-Romagna ha fornito il consenso il 92% della popolazione, mentre in Abruzzo, Calabria e Campania la percentuale si ferma all’1%. Il Mezzogiorno mostra un netto ritardo, con la sola eccezione della Puglia, che raggiunge un buon 73%. «Fornire il consenso è il primo passo per accedere ai benefici del Fse» sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe «ma serve un grande sforzo informativo e culturale per rafforzare la fiducia dei cittadini, superando i timori legati alla protezione dei dati personali».

A conferma di questo gap, anche l’utilizzo diretto del Fse da parte degli assistiti rimane marginale. Tra gennaio e marzo 2025, solo il 21% dei cittadini che avevano almeno un documento nel proprio fascicolo lo ha consultato almeno una volta. Nel Sud Italia il dato crolla sotto l’11%, con le Marche fanalino di coda (1%) e l’Emilia-Romagna al vertice con il 65%. «Non basta caricare i dati nel fascicolo» avverte Cartabellotta «bisogna anche mettere le persone nella condizione di usarli. E questo significa investire seriamente in alfabetizzazione digitale».

Sul versante dei contenuti, l’indagine rivela che solo 4 documenti su 16 previsti dal decreto ministeriale del 7 settembre 2023 – referti di laboratorio e di radiologia, lettere di dimissione ospedaliera e verbali di pronto soccorso – sono effettivamente presenti nei Fse di tutte le Regioni. Documenti essenziali come il profilo sanitario sintetico, le prescrizioni farmaceutiche e specialistiche o i referti ambulatoriali sono disponibili in oltre l’80% delle Regioni, ma altri – come le lettere di invito a screening e vaccinazioni – compaiono in appena sei Regioni. Solo il Veneto rende disponibile la cartella clinica nel Fse.

Nel complesso, a livello nazionale il Fse contiene in media il 68% dei documenti previsti. Nessuna Regione raggiunge il 100%, ma Piemonte e Veneto si attestano al 93%, mentre Abruzzo e Calabria si fermano al 40%. «Un cittadino siciliano e uno veneto» osserva Cartabellotta «non hanno le stesse possibilità di accesso alla propria documentazione clinica. E questo non è accettabile in un Servizio sanitario nazionale che si definisce universale».

L’indagine riserva però buone notizie sul fronte dei professionisti: il 95% dei medici di medicina generale (mmg) e dei pediatri di libera scelta ha effettuato almeno un accesso al Fse tra gennaio e marzo 2025. Nove Regioni – tra cui Emilia-Romagna, Piemonte, Puglia e Sardegna – registrano il 100% di utilizzo da parte dei medici di base e dei pediatri. Anche tra le Regioni meno performanti, come Toscana (80%) e Valle d’Aosta (47%), i tassi restano relativamente alti, sebbene inferiori alla media.

Diverso il discorso per i medici specialisti: il 72% risulta abilitato alla consultazione del Fse, ma con ampie disomogeneità. Dodici Regioni – tra cui Lombardia, Toscana, Veneto e le due Province autonome – raggiungono la piena abilitazione, mentre in Liguria solo il 16% degli specialisti può accedere al Fse. In Calabria, Sicilia e Abruzzo il dato resta sotto il 40%.

«In alcune Regioni» conclude Cartabellotta «il Fse è uno strumento pienamente operativo, grazie alla quantità di documenti presenti, al consenso dei cittadini ed al loro effettivo utilizzo. In altre, soprattutto nel Mezzogiorno, il Fse è spesso un contenitore semivuoto e scarsamente utilizzato. Se vogliamo davvero attuare una sanità digitale, i dati devono essere accessibili non solo ai cittadini, ma a tutti i professionisti coinvolti nei percorsi clinico-assistenziali, perché la tecnologia è necessaria, ma non sufficiente». Da qui l’appello per un patto nazionale che assicuri completezza e uniformità: senza una governance condivisa e investimenti mirati, la digitalizzazione rischia di generare nuove diseguaglianze, anziché colmarle.