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Privacy, da Garante stop all’uso del Fse per la medicina d’iniziativa

31 Gennaio 2023

Sta facendo discutere esperti e addetti ai lavori la sanzione inflitta di recente dal Garante per la privacy a tre Asl friulane che avevano fatto uso di algoritmi per classificare gli assistiti in base al rischio di incorrere in complicanze nell’eventualità di un’infezione da covid-19. «Le aziende sanitarie» si legge in una comunicazione dell’Authority «avevano elaborato i dati presenti nelle banche dati aziendali allo scopo di attivare nei confronti degli assistiti opportuni interventi di medicina di iniziativa e individuare per tempo i percorsi diagnostici e terapeutici più idonei». In particolare l’istruttoria, avviata in seguito alla segnalazione di un medico, ha appurato «che le aziende sanitarie avevano trattato i dati degli assistiti senza fornire agli interessati le informazioni necessarie (modalità e finalità del trattamento) e senza una valutazione d’impatto preliminare come richiesto dal Gdpr».

Come alcuni osservatori hanno fatto notare, nella sostanza il Garante per la privacy afferma nel provvedimento che la medicina di iniziativa non rientra nelle ordinarie attività di cura e prevenzione, ma va considerata «un trattamento ulteriore e autonomo» per il quale quindi occorre uno «specifico consenso informato dell’interessato».

Non solo: per il Garante il Fascicolo sanitario elettronico non può essere utilizzato per programmi o attività rientranti nella medicina d’iniziativa: «Attraverso il Fse» scrive l’Autorità nel provvedimento finale «possono essere perseguite le finalità previste dalla specifica disciplina di settore e in particolare diagnosi, cura e riabilitazione, prevenzione, profilassi internazionale, studio e ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico, programmazione sanitaria, verifica delle qualità delle cure e valutazione dell’assistenza sanitaria».

Tra le finalità non figura la medicina predittiva o di iniziativa, che potrà quindi attingere ai dati del Fse, «privati degli elementi identificativi diretti», soltanto se trattati dal ministero della salute, «per le finalità e con le modalità che saranno stabilite mediante decreto e previo parere del Garante». Le ricadute sono al centro della discussione di medici ed esperti.