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Caos mascherine: altri sequestri e polemiche nella farmadistribuzione

23 Aprile 2020

Il coronavirus ha impegnato duramente la farmacia italiana, che ha comunque retto. C’è invece il serio rischio che il sistema non riesca a resistere al logoramento proveniente dalla burocrazia italica, che su prezzi e vendibilità delle mascherine protettive sta producendo confusione e disorientamento eccezionali quanto l’emergenza in corso. L’ultimo esempio proveniente dalla cronaca risale a ieri ed è rappresentato dal doppio sequestro da parte dei Nas di circa 116.600 mascherine tre veli e 1.180 ffp2 tipo Kn95 nel magazzino Cef di Cremona e altre 133mila mascherine chirurgiche e 28.500 ffp2 nel deposito bresciano della stessa cooperativa, almeno secondo quanto riporta la stampa locale. La contestazione, riferiscono i giornali, è di avere immesso nel circuito commerciale prodotti privi di indicazioni al consumatore in lingua italiana – le confezioni erano stampate in inglese – e delle indicazioni d’uso e di sicurezza.

In un comunicato diffuso già nella mattinata, Cef respinge tutti gli addebiti con «sorpresa e deciso disappunto» e contesta le conclusioni dei Nas: «il sequestro amministrativo del quantitativo di mascherine presenti presso i nostri magazzini è un atto erroneo, adottato ingiustamente in quanto è stata contestata la presenza di etichettatura in lingua inglese e non in lingua italiana sebbene ciò sia previsto e consentito dalla normativa europea (Regolamento CE 425/2016)». Di conseguenza, prosegue la nota, la cooperativa «si riserva ogni opportuna iniziativa nelle competenti sedi»: l’azienda lavora alacremente per rifornire le farmacie di tutti i presidi indispensabili all’assistenza sanitaria e «l’approvvigionamento delle mascherine rappresenta un impegno prioritario», a fronte della crescente richiesta da parte della popolazione.

L’ipotesi che si tratti di accanimento burocratico è avvalorata non soltanto da quanto riferisce Cef nel proprio comunicato, ma anche dal fatto che – secondo quanto appreso da FPress – analoghe ispezioni sullo stesso materiale condotte un mese fa dalle autorità di vigilanza nei depositi di Erba (Como) e Roma non avevano prodotto alcuna contestazione. «L’azienda ha dichiarato sin da subito la propria disponibilità a rietichettare le confezioni» conclude il comunicato di Cef «anche se questa procedura richiederà un’ulteriore dilazione nella consegna alle farmacie, che verrà scontata in termini di disservizio dalla comunità».

L’episodio, come detto, è l’ultimo esempio della babele interpretativa che – in tema di prezzi, confezionamento, certificazioni ed etichettatura – sta logorando le farmacie del territorio da diverse settimane. Sui gruppi Facebook frequentati dai farmacisti abbondano i post in cui si contestano addebiti e sanzioni, che messe a confronto giorno dopo giorno evidenziano incongruenze in apparenza inspiegabili. Il ricarico sul prezzo delle mascherine che i controlli reputano congruo in una regione viene sanzionato in un’altra, le confezioni in lingua inglese che vengono commercializzate senza problemi in un supermercato vengono sequestrate nella farmacia di un’altra provincia.

Ieri, intanto, Federfarma e Fofi sono tornate per l’ennesima volta sul tema chiedendo interventi che consentano alle farmacie di lavorare in un quadro di certezze normative e burocratiche. In una nota, in particolare, il sindacato ricorda di avere presentato nelle settimane passate diverse proposte, ma «l’unica concretezza che si è potuta constatare finora sono gli innumerevoli controlli effettuati dalle autorità preposte, con l’elevazione di pesantissimi sanzioni per il mancato rispetto di adempimenti burocratici e il sequestro dei dispositivi». Ma il rischio più grande, osserva Federfarma, «è quello che un’intera categoria, che si spende ogni giorno per il bene della collettività, venga annoverata odiosamente tra gli speculatori».

Per evitarlo, prosegue il sindacato, «non sembra rimanere altra strada che suggerire alle farmacie di astenersi dalla vendita di mascherine e dispositivi di protezione individuale», un’ipotesi che può essere scongiurata soltanto se le amministrazioni competenti daranno immediatamente le risposte che la Federazione attende.

Decisa anche la reazione della Fofi, che in un comunicato «chiede a presidente del Consiglio, ministro della Salute, capo del Dipartimento della Protezione civile e Commissario straordinario per l’emergenza che si metta mano a una soluzione radicale»: sia la Protezione Civile ad acquisire sul mercato i dispositivi e a «cederli alle cooperative dei farmacisti per la distribuzione a un prezzo prestabilito, stabilendo altresì quale ricarico debba essere applicato dalla farmacia».

Nelle farmacie del territorio, ricorda la Fofi, i professionisti operano da settimane in condizioni critiche, facendosi carico con impegno e abnegazione delle necessità imposte dall’emergenza e di quelle della normale assistenza farmaceutica. «Non è più sopportabile, quindi, il carico di discussioni con i cittadini, e di controlli delle autorità preposte, per un aspetto, quello delle caratteristiche, del prezzo e della disponibilità delle mascherine, che i farmacisti e le farmacie non possono risolvere con i propri mezzi».