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Con la distribuzione “a pacchetti” l’accordo emiliano sulla dpc comincia a far paura

29 Marzo 2019

C’è crescente preoccupazione, tra i farmacisti titolari, per l’accordo sulla dpc firmato poche settimane fa in Emilia Romagna. Timori di possibili future contaminazioni, perché è esperienza ormai consolidata che quando un’amministrazione regionale di “peso” come quella emiliano-romagnola s’inventa qualcosa di nuovo nella distribuzione per conto, le altre tendono a venire dietro. E la novità che più preoccupa, nel nuovo accordo regionale, è la cosiddetta distribuzione “a pacchetti”, ossia la fornitura ai pazienti cronici dei farmaci necessari a uno o più mesi di terapia, in un’unica soluzione.

Come noto, è quello che già fanno da tempo in regime di distribuzione diretta diverse Asl dell’Emilia Romagna, dalle quali gli assistiti escono stracarichi di scatolette. Con l’accordo non saranno più le farmacie ospedaliere ma quelle del territorio a rifornire in tale modalità, e questo rappresenta il contenuto più positivo dell’intesa perché i presidi dalla croce verde tornerebbero a distribuire farmacie che finora non vedevano o quasi. A preoccupare però è il fatto che in questi “pacchetti” ci saranno anche i farmaci di fascia A extra-Pht, che finora le Asl emiliane fornivano in diretta grazie a un’interpretazione particolarmente estensiva della 405/2001. Con l’accordo saranno le farmacie del territorio a distribuirli, e non alle tariffe della convenzionata (margine sul prezzo) ma a quelle della dpc.

E a quanto ammonteranno questi compensi? Ancora non si sa, perché il protocollo d’intesa firmato da Regione, Federfarma e Assofarm si limita a sottoporre questa distribuzione “a pacchetti” a una sperimentazione, che inizialmente coinvolgerà i pazienti affetti da bpco e i cui contenuti saranno definiti da una commissione di lavoro costituita tra i firmatari. «Quello che è già chiaro fin d’ora» spiega a FPress Egidio Campari, componente dell’esecutivo nazionale di Assofarm e negoziatore dell’intesa per le farmacie pubbliche «è che sarà una remunerazione paziente/anno (come i medici di famiglia, ndr), con una quota fissa che coprirà farmaci e presa in carico: controllo della dispensazione, verifica dell’aderenza terapeutica, farmacovigilanza eccetera. E le stime, basate su dati statistici, dicono che i “pacchetti” distribuiti dalle farmacie saranno dai sette ai dodici all’anno, a seconda dei bisogni e delle patologie coinvolte».

E’ evidente, dunque, che l’accordo mostrerà davvero tutti i suoi risvolti soltanto quando sarà definita la remunerazione: «I servizi assegnati alle farmacie in correlazione alla presa in carico offrono buone opportunità professionali ma sono cospicui» è il parere di Daniele Raganato, presidente di Federfarma Rimini «se la Regione non riconoscerà compensi commisurati all’impegno, per noi titolari sarà un bagno di sangue».

Servizi a parte, la posta in gioco è evidente: se l’Emilia Romagna riuscirà a inserire nella distribuzione a pacchetti una buona fetta della fascia A, o almeno i farmaci più costosi e interessanti, si porterà a casa la distribuzione istituzionalizzata in dpc dei farmaci della convenzionata e la riforma della remunerazione. Senza passare da tavoli di trattativa nazionali, rinnovi di convenzione, riscritture di norme e leggi. Ed è proprio questo che, al di là dei confini emiliano-romagnoli, toglie il sonno a parecchi titolari: anziché il superamento della 405/2001, sarebbe il suo trionfo.