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Piano cronicità, il recepimento piemontese lascia ai margini la farmacia

14 Marzo 2018

Delude non poco il Piano piemontese delle cronicità che l’assessore alla Salute della Regione, Antonio Saitta (foto), ha presentato lunedì a Torino davanti a stampa e operatori sanitari. Delude soprattutto le farmacie, che nel documento programmatico – in cui viene declinato il Piano nazionale delle cronicità – trovano ben poco spazio e considerazione. La dice lunga, in tal senso, l’elenco delle professionalità rappresentate nelle «Comunità di pratica», che nel 2018-2019 dovranno vigilare sull’applicazione del Piano in quattro Asl “pilota” (Città di Torino, Provincia di Torino, Piemonte occidentale e Piemonte orientale): 17 in tutto i profili, snocciolati in una lista che mette al primo posto il medico di famiglia, al secondo il pediatra di libera scelta, al terzo il medico specialista, al settimo e all’ottavo l’infermiere Adi e l’infermiere di famiglia e soltanto al sedicesimo il farmacista (l’ultimo, il diciassettesimo, è il rappresentante delle associazioni dei malati).

Stessa considerazione per le farmacie nel resto del Piano regionale, che comunque sulla carta enfatizza territorio e cure primarie: «Obiettivo fondamentale dei sistemi di cura della cronicità» si legge nel paragrafo dedicato alle cure domiciliari «è quello di mantenere il più possibile la persona malata al proprio domicilio», attraverso «una forte integrazione tra cure primarie e specialistiche e tra ospedale e territorio».

Tra le leve su cui agire per innescare tale riorganizzazione, tuttavia, non ci sono le farmacie del territorio. Spiccano invece le Case della salute, nella cui cornice dovrebbero operare i «team multiprofessionali» che si faranno carico dell’assistenza al paziente cronico. Questi team dovranno garantire accessibilità h12 (e reperibilità nelle altre ore della giornata), dovranno «valorizzare primariamente le potenzialità delle professioni infermieristiche» e lavorare secondo il modello «care-case management», con il «ruolo dell’infermiere come figura di raccordo tra mmg e specialisti ospedalieri».

Mancano quasi del tutto, invece, riferimenti alla farmacia dei servizi. Non se ne parla nel paragrafo dedicato all’aderenza terapeutica, dove si punta tutto sui sistemi informativi come fascicolo sanitario elettronico, patient summary e dossier farmaceutico. Ci si deve così accontentare del fugace cenno che regala il capitolo sulla telemedicina, dove si accenna a «trasmissione di dati relativi ai parametri vitali tra il paziente (a casa, in farmacia, in strutture assistenziali) e una postazione di monitoraggio».

A dire il vero c’è un paragrafo dedicato al «ruolo delle farmacie» nella presa in carico delle cronicità, ma i contenuti riproducono fedelmente quanto sullo stesso tema recitava il Piano nazionale (varato dal ministero della Salute nel 2016), però senza alcuna declinazione operativa e indicazione delle modalità con cui la farmacia dovrebbe essere integrata nei team multidisciplinari o nell’assistenza domiciliare. «In effetti si tratta di un Piano che al momento delude» conferma il presidente di Federfarma Piemonte, Massimo Mana «a parole la farmacia c’è, ma il testo rivela di fatto scarsa considerazione nei nostri confronti. Dato che per tradurre in realtà il progetto occorrerà tempo, toccherà ora a noi farci avanti con proposte che facciano capire quali contributi può dare la farmacia alla presa in carico». Intanto è legittimo farsi qualche domanda: se quella che emerge dal Piano piemontese è la visione della farmacia che ha Saitta, ossia colui che in Conferenza delle Regioni coordina la commissione degli assessori alla Salute e interloquisce con la Sisac nella trattativa per il rinnovo della Convenzione, forse è il momento di cominciare a preoccuparsi.