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Remunerazione 2 – Studio Iqvia, i numeri e le tabelle mostrate in assemblea

15 Ottobre 2019

Da qui al 2024 la spesa farmaceutica convenzionata potrebbe perdere rispetto al 2018 tra i 500 milioni e i 3 miliardi di euro, a seconda degli scenari che si concretizzeranno e degli eventuali interventi che dovessero essere messi in campo da Regioni e Governo. E’ quanto prevede Iqvia nello studio commissionato a luglio da Federfarma perché facesse da base ai calcoli del sindacato per la nuova remunerazione, studio che la Federazione ha presentato la settimana scorsa ai delegati dell’assemblea in un estratto con numeri e tabelle in abbondanza. Ne scaturisce un’analisi chenon si appiattisce su un’unica ipotesi ma ipotizza diversi scenari, dai più ai meno probabili, e ne calcola le ricadute sulla spesa. Il risultato è una forbice nella quale l’ipotesi anticipata da Tobia nella lettera di un paio di settimane fa ai lombardi (-3 miliardi da qui al 2024) è soltanto la “lama” più nera, perché ce n’è un’altra che invece quantifica la perdita nel quinquennio in una cifra di sei volte inferiore.

 

 

Ma come arriva Iqvia a queste stime? Per cominciare, la società ha valutato l’impatto sulla spesa storica di fenomeni “di fondo” come invecchiamento della popolazione, calo demografico ed evoluzione delle cronicità: la stima risultante è una convenzionata che continua a calare come gli anni passati ma a una velocità decrescente, che dai 10.009 milioni di euro del 2018 dovrebbe portarla ai 9.796 del 2024 (-210 milioni, vedi sopra). Quindi, Iqvia ha aggiunto a tale perdita l’erosione che dovrebbe provenire dalle nuove genericazioni: sono 22 le molecole di fascia A che perderanno il brevetto nel quinquennio entrante, da cui risparmi per il Ssn che dovrebbero ridurre la convenzionata a 9.486 milioni (e quindi altri 310 in meno, vedi sotto).

 

 

Arriva poi la volta degli scenari più incerti, quelli che danno sostanza alle ipotesi più pessimistiche. Per esempio, è stato valutato l’impatto di un eventuale spostamento dalla convenzionata alla dpc dell’intera classe dei respiratori/innovativi (asma/bpco), una misura che aleggia sulla filiera dalla primavera scorsa. Se l’intervento si concretizzasse, è la stima, la perdita arriverebbe nel 2024 a 640 milioni di euro, ma va detto che lo studio si focalizza soltanto sulla convenzionata, quindi non calcola quanto le farmacie ricaverebbero dalla distribuzione degli stessi farmaci in dpc. Identica omissione quando Iqvia stima l’impatto di un’altra ipotetica misura di potenziamento della dpc, quella ventilata dal documento sulla governance farmaceutica che venne presentato nel dicembre dell’anno scorso dall’allora ministro della Salute, Giulia Grillo. Il documento parla in termini piuttosto vaghi della necessità che l’Aifa «verifichi periodicamente l’elenco dei medicinali inclusi nel Pht, sia con riferimento ai medicinali che sono consolidati nella pratica clinica, sia al fine di integrare l’elenco con ulteriori categorie di farmaci che richiedono un controllo ricorrente del paziente, rafforzando la possibilità di erogazione in distribuzione diretta o per conto a seconda del modello organizzativo adottato dalle Regioni». E’ evidente che il documento si limita a ventilare un aggiornamento del Pht (in entrata e in uscita) per lasciare poi a ogni Regione la libertà di regolarsi coerentemente con il proprio modello distributivo (diretta o dpc); Iqvia invece, in mancanza di indicazioni più nette, quantifica gli effetti sulla spesa ipotizzando che tutti i governi regionali “gonfino” la dpc fino a portarla ai volumi delle tre Regioni che più fanno ricorso a tale modalità distributiva. E’ certamente uno scenario che più nero non si potrebbe, nel quale la convenzionata perderebbe altri 700 milioni di euro (che sommata alla perdita precedente equivale a un decremento di 1,2 miliardi, vedi grafico sotto). Ma ancora una volta non viene calcolata la parziale compensazione che deriverebbe dalla remunerazione della dpc di questi nuovi farmaci.

 

 

Altrettanto pessimistico anche l’ultimo scenario prospettato da Iqvia, quello che risulterebbe da una revisione del prontuario per categorie terapeutiche omogenee, ossia gruppi di equivalenza che comprendono farmaci con molecole diverse (e quota di rimborso al prezzo più basso). Anche in questo caso l’ipotesi discende da una delle misure ventilate nel documento sulla governance (ma è da capire oggi quale valore abbia ancora, dato che al Ministero non siede più Grillo e di quel testo non si parla da alcuni mesi). E ancora una volta, le stime di Iqvia prendono le mosse dallo scenario più pessimistico che si possa immaginare, in cui il sistema viene applicato a tutte le principali categorie della fascia A: sartani, statine, ace-inibitori, beta-bloccanti, antidepressivi eccetera. La perdita che ne deriverebbe per la spesa convenzionata si aggira sui 1.400 milioni di euro dal 2021, ma è una previsione che suscita parecchie perplessità. Nel documento sulla governance, infatti, è scritto a chiare lettere che lo strumento dell’equivalenza per categorie terapeutiche omogenee «si applica soltanto alle procedure di gara e non agli indirizzi prescrittivi, che comunque attengono come attività di promozione dell’appropriatezza prescrittiva a regioni e aziende sanitarie». In altri termini, l’equivalenza terapeutica servirebbe alle Regioni per mettere in concorrenza tra loro farmaci con molecole differenti soltanto nelle gare di acquisto, che servono a rifornire gli ospedali oppure la diretta-dpc, non la convenzionata. L’accenno agli indirizzi prescrittivi, per di più, fa capire che non c’è l’intenzione di toccare le ricette dei medici di famiglia (si solleverebbe un putiferio, come già accaduto qualche anno fa) e quindi la fascia A non verrebbe quasi toccata.

 

 

Alle perplessità derivanti dall’estremo pessimismo di alcuni scenari, si aggiungono altri dubbi legati alla selettività con cui sono stati valutati questi stessi scenari. Perché Federfarma ha tradotto in realtà soltanto alcune misure del documento sulla governance e non altre? Per quale motivo, per esempio, non è stato valutato cosa accadrebbe alla spesa convenzionata se l’Aifa attuasse quella dispensazione per unità posologiche (farmaci sfusi, per intenderci), di cui parla il testo? Forse perché le ricadute colpirebbero le farmacie a prescindere dal modello di remunerazione praticato? E la proposta di impostare le trattative tra Aifa e aziende produttrici su un meccanismo prezzo/volume? Anche qui, non è forse perché gli eventuali risparmi di spesa che ne deriverebbero danneggeranno le farmacie comunque, che siano passate al sistema misto oppure no? Si attendono risposte.