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Spesa sanitaria privata, l’80% in farmaci e cure dentistiche

13 Aprile 2018

Sono circa 35 milioni gli italiani che sostengono di tasca propria le loro cure, per una spesa che nel 2017 si è attestata sui 40 miliardi di euro (35 nel 2016). Gli anziani, sempre più numerosi, spendono una volta e mezzo in più della media e gli anziani non autosufficienti più del doppio. Circa 13 milioni di italiani hanno difficoltà a far fronte alla spesa sanitaria, 7,8 milioni hanno dato fondo a tutti i loro risparmi per fronte alle spese sanitarie e 2 milioni sono andati ad accrescere la categoria della nuova povertà. Sono alcuni dei dati che arrivano dalla School di Padova 2018, l’evento organizzato da Motore Sanità per analizzare le trasformazioni in atto nel sistema sanitario con esperti del settore, cittadini e operatori della sanità e del welfare.

Dei 40 miliardi spesi privatamente dagli italiani per le cure nel 207, solo cinque sono stati intermediati dalla sanità integrativa, cui aderiscono 12 milioni italiani (il 19%, dei quali 55% dipendenti e 14% autonomi. «Le strutture private» ha detto aprendo i lavori Michele Vietti, ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura «costituiscono oggi una realtà significativa del Servizio sanitario nazionale: erogano il 28% delle prestazioni in termini di giornate di degenza e, in termini di spesa, il 7,6% dei servizi ospedalieri e il 4,1% dei servizi di diagnostica e laboratorio».

La spesa sanitaria privata non intermediata, cioè out of pocket, va a coprire principalmente farmaci e cure odontoiatriche. Tra le prestazioni più richieste in regime privato, invece, ci sono le visite specialistiche (58,4%), le analisi di vario tipo (50,9%), gli accertamenti diagnostici (38,4%) e gli accessi al pronto soccorso (24,7%). La percentuale dei cittadini che si dice a conoscenza della possibilità di poter accedere alle strutture private accreditate senza costi aggiuntivi rispetto al pubblico ammonta al 41,1%, coloro i quali affermano, invece, di avere vaghe conoscenze al riguardo sono il 39,9%; il restante 19,1% si dichiara completamente ignaro dell’esistenza di questa possibilità.