filiera

Antibiotici con covid, nuove raccomandazioni ne sconsigliano l’uso

29 Aprile 2021

Negli asintomatici o paucisintomatici da covid in trattamento domiciliare è opportuno «evitare l’uso empirico di antibiotici». E’ la raccomandazione che arriva dall’ultimo aggiornamento delle linee guida del ministero della Salute per le cure domiciliari dei pazienti con la sola infezione virale da Sars-CoV2: «la mancanza di un solido razionale e l’assenza di prove di efficacia» avverte in particolare il documento «non consentono di raccomandare l’utilizzo degli antibiotici, da soli o associati ad altri farmaci».

Un ingiustificato utilizzo degli antibiotici, prosegue l’aggiornamento, «può inoltre determinare l’insorgenza e il propagarsi di resistenze batteriche che potrebbero compromettere la risposta a terapie antibiotiche future. Il loro eventuale utilizzo è da riservare esclusivamente ai casi nei quali l’infezione batterica sia stata dimostrata da un esame 12 microbiologico e a quelli in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica».

Stesse raccomandazioni in un articolo pubblicato ieri dal Pharmaceutical Journal, la rivista della Royal pharmaceutical society (l’ordine dei farmacisti inglesi), e firmato da Andrew Seaton, infettivologo del Queen Elizabeth University Hospital di Glasgow. Fin dall’inizio della pandemia, scrive l’esperto, la prescrizione di antibiotici contro la malattia è stata intensa: rapporti dalla Cina suggerivano che la somministrazione di questi farmaci ai ricoverati in ospedale con grave infezione da Sars-CoV2 era quasi universale e lo stesso è stato fatto Europa e nelle Americhe quando il virus ha iniziato a diffondersi. «Nell’aprile 2020» osserva Seaton «in Scozia il 29% dei pazienti ospedalizzati con sospetto covid-19 ha ricevuto un antibiotico prima del ricovero, il 62% lo ha ricevuto come terapia empirica dopo il ricovero».

All’origine di tali scelte, suggerisce l’infettivologo, potrebbero esserci precedenti storici: gli studi post mortem sulla pandemia influenzale del 1918-1919 hanno mostrato che «la polmonite batterica secondaria era probabilmente la principale causa di morte. Se gli antibiotici fossero stati allora disponibili, centinaia di migliaia di vite avrebbero potuto essere salvate». La coinfezione batterica, prosegue Seaton, rimane un evento importante nell’influenza stagionale grave, «tuttavia, non è stato un fattore significativo per nessuno dei recenti focolai di coronavirus: l’epidemia di sindrome respiratoria acuta grave (Sars) nel 2003 o la sindrome respiratoria del Medio Oriente (Mers) riconosciuta per la prima volta nel 2012.

Le prove raccolte fino a oggi riguardo a Sars-CoV2, anzi, indicano una «bassa probabilità di coinfezione batterica: più studi di coorte e revisioni sistematiche hanno stimato che la coinfezione batterica risulta rara ( <4%) nei pazienti ospedalizzati. In una coorte studiata in Olanda, la coinfezione batterica è stata osservata solo nell’1% dei pazienti durante la prima settimana di ricovero».

Alcuni, scrive l’infettivologo, hanno ipotizzato che gli antibiotici azitromicina e doxiciclina abbiano proprietà antinfiammatorie o antivirali. Tuttavia, sono stati pubblicati finora dati completi per azitromicina che non mostrano alcun miglioramento nel tempo di recupero di 28 giorni; dati simili sono stati riportati per doxiciclina, sebbene non siano stati ancora completamente pubblicati. Nei pazienti ospedalizzati con polmonite covid-19, l’azitromicina non è stata associata a benefici né nello studio controllato randomizzato della Coalizione brasiliana II, né nello studio Recovery. E il 28 gennaio 2021, il Dipartimento della salute e dell’assistenza sociale ha informato che questi antibiotici non dovrebbero essere usati per gestire covid-19 confermato o sospetto .

Pertanto, osserva Seaton, se il medico di famiglia o il pediatra di libera scelta sospettano un’infezione da covid-19, «l’uso di routine di antibiotici dovrebbe essere fortemente scoraggiato. Gli antibiotici dovrebbero essere riservati a coloro in cui vi sono caratteristiche cliniche specifiche che indicano un’altra infezione batterica. La coinfezione batterica del tratto respiratorio è insolita, quindi gli antibiotici dovrebbero essere limitati a quelli con espettorato purulento nel contesto di una esacerbazione infettiva di broncopneumopatia cronica ostruttiva o se c’è un forte sospetto di polmonite batterica acquisita». A oggi, conclude il ricercatore, «la comprensione della fisiopatologia e delle terapie per covid-19 continua a crescere. I maggiori benefici terapeutici sono stati osservati nelle terapie con farmaci che modulano la risposta infiammatoria all’infezione virale. I corticosteroidi e gli inibitori dell’IL-6 riducono la mortalità per cobid-19, tuttavia accrescono il rischio di infezione batterica secondaria». Studi futuri aiuteranno a definire correttamente questo rischio, nel frattempo, «la vaccinazione rimane il nostro miglior strumento per ridurre il rischio di infezioni gravi e ospedalizzazione».