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Dal Def ancora sacrifici per la spesa farmaceutica convenzionata

16 Maggio 2018

 

Nel 2018 la spesa sanitaria pubblica dovrebbe attestarsi a 115,8 miliardi di euro, in crescita del 2% rispetto all’anno precedente. La farmaceutica convenzionata, quella che passa dalle farmacie del territorio, dovrebbe invece fermarsi a 7,4 miliardi, circa 200 milioni in meno rispetto a quanto il Servizio sanitario nazionale ha sborsato nel 2017. Al contrario non si prevedono risparmi sui farmaci acquistati direttamente da Asl e ospedali, che a causa di innovativi e distribuzione diretta dovrebbero comportare quest’anno una spesa superiore del 4,4% a quella del 2017. Sono alcune delle stime che in materia di sanità arrivano dal Def, il Documento di economia e finanza che fissa le linee della Manovra economica di fine anno. Varato dal governo Gentiloni a fine aprile senza la parte programmatica, che non compete a un esecutivo con mandato concluso e in carica soltanto per la gestione dell’ordinario, il Def acquista oggi un rilievo particolare per capire quali sono gli spazi d’intervento del governo che verrà in materia di finanza pubblica e soprattutto di Ssn.

Aiuta a comprendere un recente articolo di Mario Seminerio, economista ed editorialista de Il Foglio e Il Fatto Quotidiano. In un post sul suo blog Phastidio.net, Seminerio commenta in modo severo quanto scrive il Def a proposito di sanità: la crescita di oltre il 4% evidenziata nel 2017 dalla spesa per consumi intermedi (dove sono registrati gli acquisti di farmaci da parte di Asl e ospedali) smentisce «la mistica della spending review». E rivela la scarsa incisività delle misure di contenimento messe finora in campo per governare la spesa sanitaria, come centralizzazione degli acquisti via Consip, prezzi di riferimento per aste e gare di acquisto e infine i tetti di spesa regionali per i dispositivi medici.

Per l’economista, poi, i numeri dimostrano che non si possono più chiedere ulteriori risparmi alla spesa sanitaria pubblica, a meno di non «spostare consumi fuori dal Ssn». In altri termini, trasferire una fetta delle prestazioni oggi coperte dal pubblico ad assicurazioni e sanità privata. Il problema, però, è che lo Stato ha un assoluto bisogno di risparmi: a regime, ricorda infatti Seminerio, «la spesa per pensioni è attesa crescere di oltre il 10% tra il 2017 ed il 2021», per un rapporto rispetto al Pil che si manterrà sopra il 15% (la spesa sanitaria pubblica vale il 6,6% del Prodotto interno lordo, il 6,3% nel 2020). Questo però a legge Fornero invariata: se il governo che verrà dovesse mettere mano alla riforma per allentarne i vincoli, «i conti andrebbero serenamente a pallino».

Lo scenario presente, insomma, è chiaro: la spesa sanitaria è rimasta finora su livelli accettabili di sostenibilità (1% di crescita annuale nel biennio 2016-2017, peso sul Pil in calo dal 6,7% del 2016 al 6,6% del 2017) grazie a una serie di sacrifici in cui la spending review ha fatto poco e la spesa farmaceutica convenzionata ha fatto molto (a beneficio dei farmaci innovativi acquistati da Asl e ospedali). Altri risparmi al Ssn non si possono più chiedere, ma la dinamica della spesa previdenziale obbligherà comunque a nuovi interventi sulla spesa pubblica. Sempre che il nuovo esecutivo non vari eventuali riforme “di programma” (abrogazione della legge Fornero, flat tax), nel qual caso salterebbero tutti gli equilibri.