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Vaccini made in Italy, il problema sono know how e disponibilità di bioreattori

26 Febbraio 2021

Occorrono dai quattro ai dodici mesi per riconvertire un impianto alla produzione di vaccini covid e altri sei mesi per l’acquisizione del know how. E per farlo il nodo critico non è la reperibilità di siti dove avviare un’operazione di questo genere, che in Italia ci sono, ma l’insufficienza di bioreattori, ossia dispositivi che forniscono un ambiente adeguato alla crescita dei microrganismi. E’ una delle evidenze emerse ieri nell’incontro organizzato al ministero dello Sviluppo – presenti Farmindustria e il commissario all’emergenza covid, Domenico Arcuri – per valutare la possibilità di produrre in casa i vaccini necessari al Paese. Secondo quanto riferisce l’Ansa, il governo verificherà nei giorni a venire quanti bioreattori possono essere riconvertiti e quali spazi ci sono per la realizzazione di nuovi esemplari; nessun problema invece per i siti produttivi, già reperiti in Veneto, Lazio e Puglia.

Intanto, ieri la Pfizer ha annunciato di avere avviato trattative con undici aziende proprietarie di stabilimenti in Europa per ampliare la produzione del suo vaccino: la maggior parte è localizzata in Germania, altre in Svizzera, e nell’elenco figurano Delpharm, Sanofi, Merck KGAa, Novartis, Polymun, DermaPharm, BioNTech Marburg, BioNTech Mainz e Rentschler. Ogni impianto, ha spiegato Pfizer, parteciperà alla produzione del vaccino in base alle proprie tecnologie.

Anche l’Unione europea sta valutando interventi diretti a salvaguardare le forniture contrattualizzate con le aziende produttrici. Secondo fonti comunitarie, in particolare, il Consiglio Ue sarebbe starebbe valutando l’eventualità di un irrigidimento dei divieti di esportazione a carico delle aziende farmaceutiche che non rispettano gli impegni. Ma i produttori continuano a respingere sospetti e accuse: «Non esiste nessun mercato secondario» ha detto ieri l’amministratore delegato di AstraZeneca, Pascal Soriot, parlando in audizione al Parlamento Ue «noi riforniamo direttamente i governi». Quanto alle difficoltà produttive che gravano sulle forniture e alla volontà – espressa da alcuni Paesi come l’Italia – di avviare produzioni autonome scavalcando brevetti ed esclusive, Soriot è stato diretto: «Non è la condivisione dei brevetti il problema, ma incrementare la produzione. L’industria lavora incessantemente per aumentarla, ma va capito che per produrre in un nuovo sito bisogna formare le persone, ci vuole transfer tecnologico». In altre parole, «non serve il brevetto se non sai come produrlo. Non è facile aggiungere nuovi siti produttivi».

Intanto, secondo quanto riferisce l’Ansa, l’Aifa si preparerebbe ad autorizzare la somministrazione di un’unica dose di vaccino ai soggetti che hanno già contratto il virus Sars-Cov2. Sulla base del parere, il ministero della Salute dovrebbe intervenire a ruota con una circolare applicativa.