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CdS: le incompatibilità della 362/91 valgono anche per le persone giuridiche

20 Aprile 2022

Le persone giuridiche come una clinica privata esercitano nei confronti dei loro assistiti la professione medica, dunque sono soggette alle incompatibilità di cui all’articolo 7, comma 2, della legge 362/1991, che vieta alle società titolari di farmacia di avere soci che svolgono «attività nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco o esercitano la professione medica». E’ quanto stabilisce la sentenza del Consiglio di Stato del 14 aprile scorso, che in Adunanza plenaria ha rigettato l’appello della società San Marco srl contro la decisione con cui un anno fa il Tar Marche aveva bocciato la privatizzazione della farmacia comunale numero 1 di Ancona.

Il contenzioso, come si ricorderà, origina dalla gara con cui nel 2018 il comune del capoluogo marchigiano vendette la farmacia alla società ricorrente. La dismissione venne impugnata davanti al Tar prima da Federfarma Marche e quindi – attraverso due ricorsi straordinari – da Federfarma nazionale e dalla Fofi: la società vincitrice, osservavano sindacato e ordine, ha per socio unico un’altra società, la Villa San Marco srl, che gestisce case di cura e di assistenza e dunque svolge attività medica. In aggiunta, le due srl condividono la medesima sede legale e il presidente del cda della Casa di cura riveste anche la carica di amministratore unico della società che gestisce l’ex farmacia comunale.

In primo grado il Tar Marche diede ragione a Federfarma e Fofi, in appello invece la terza sezione del Consiglio di Stato decise di rimettere la questione all’Adunanza plenaria dello stesso Consiglio: per arrivare a una decisione, scrissero i giudici, si sarebbe dovuto prima chiarire se il regime delle incompatibilità, «in origine disciplinato con riferimento al farmacista persona fisica o al più società di persone», è stato di fatto esteso dalla legge 124/2017 (concorrenza) anche alle persone giuridiche socie di società di capitali.

Per l’Adunanza plenaria la risposta non può che essere affermativa. Per cominciare, è principio ormai consolidato della giurisprudenza che siano «applicabili agli enti, secondo un approccio realistico e tenendo presente lo scopo perseguito dal legislatore, una serie di norme rivolte testualmente ai soli individui, per prevenire gli abusi di chi cerchi di eludere divieti personali operando dietro lo schermo di una persona giuridica». In secondo luogo, va considerato «il rapporto tra la clinica privata e i medici che in essa (e per essa) svolgono la loro attività»: in tale rapporto «la struttura risponde a titolo contrattuale per il comportamento dei medici di cui si avvale, sussistendo un collegamento tra la prestazione effettuata e l’organizzazione aziendale della casa di cura»; di conseguenza, si deve ritenere «che anche una persona giuridica, in particolare una clinica privata, eserciti nei confronti dei propri assistiti la professione medica» ai fini di quanto stabilito dall’articolo 7 della 362/91.

Una volta stabilito il principio, prosegue l’Adunanza plenaria, «ne consegue che la casa di cura non può avere alcuna partecipazione in una società titolare dell’esercizio della farmacia». In altri termini, non può esserne socio in nessun modo, «essendo la disposizione di legge sufficientemente chiara nel legare questa incompatibilità alla partecipazione in quanto tale, nella misura in cui ad essa si correla comunque la prospettiva di ricavarne degli utili». In sostanza, l’incompatibilità sussiste a prescindere dal fatto che la casa di cura sia socio di capitale o socio che partecipa alla gestione della srl cui fa capo la farmacia.

La ratio di tale incompatibilità, prosegue il Consiglio di Stato, è quella prevenire «conflitti di interesse che possano ripercuotersi negativamente sullo svolgimento del servizio farmaceutico e, quindi, sul diritto alla salute». In aggiunta, «si possono rinvenire ulteriori ragioni nella nuova dimensione economico-finanziaria delle farmacie (disegnata dalla 124/2017, ndr), legate per un verso alla tutela della concorrenza e, per altro verso, al contenimento del consumo farmaceutico e della spesa sanitaria».

L’annullamento della vendita, conclude l’Adunanza plenaria, si estende anche agli atti di aggiudicazione e di approvazione dell’asta pubblica per la cessione della farmacia e «comporta, quale naturale effetto ripristinatorio, il venir meno retroattivamente dell’alienazione intercorsa tra la parte appellante (la società San Marco srl) e il Comune».