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Nello Martini alla Camera: ecco perché alcune Regioni “gonfiano” diretta e dpc

25 Febbraio 2022

Alcune Regioni gonfiano la lista dei farmaci affidati alla dpc e quella dei medicinali distribuiti nel primo ciclo terapeutico per aumentare il payback, tenere bassa la spesa convenzionata e ottenere così un “tesoretto” che può essere utilizzato per altri scopi. Lo ha detto Nello Martini, presidente della Fondazione ReS, nel secondo giro di audizioni organizzato l’altro ieri dalla commissione Affari sociali della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla distribuzione diretta.

Nel 2020, ha spiegato l’ex dg dell’Aifa, la dpc ha generato una spesa di circa due miliardi, per un costo medio a confezione di 40 euro. «Tra i farmaci che vengono distribuiti con questo canale» ha detto alla Commissione «figurano parecchi medicinali di fascia A destinati al trattamento delle patologie croniche, che quindi sarebbe più corretto collocare nel circuito della convenzionata. Perché allora sono distribuiti per conto? In primo luogo per il risparmio, le Asl li acquistano dall’industria a un prezzo ex factory scontato di almeno il 50%». Ma, ha avvertito Martini, c’è anche un’altra convenienza che spinge per tenere in dpc farmaci che sarebbe più appropriato collocare nel canale della convenzionata: «Stando in dpc, questi medicinali vengono caricati sulla spesa per acquisti diretti, dove ogni sfondamento è ripianato per metà dall’industria; la spesa convenzionata viene così tenuta bassa e gli avanzi rimangono nella disponibilità delle singole Regioni».

In sostanza, il meccanismo consentirebbe alle Regioni di “fare la cresta” sulla spesa farmaceutica che passa dalle farmacie del territorio, soldi che poi sarebbero utilizzati per altre voci anziché per l’assistenza farmaceutica. Ma, ha avvertito Martini, la dpc è un modello superato e non più sostenibile, perché genera disuguaglianze e scarica sui pazienti un costo sociale sempre meno giustificabile.

«E’ giusto mantenere la distribuzione diretta per i farmaci ad alta complessità che richiedono il controllo del paziente» ha avvertito il presidente della Fondazione ReS «magari con l’aggiunta di servizi di home delivery e teleconsulto per non costringere gli assistiti ad andare in ospedale se non quando ricorre la visita di controllo». Occorre invece rimuovere dalla dpc e spostare in convenzionata tutti i farmaci indicati per i trattamenti cronici, risolvendo al contempo il problema della sostenibilità economica con una nuova remunerazione per le farmacie basata su un modello misto, quota fissa più margine. «Non dimentichiamoci» ha ricordato Martini «che il margine percentuale rappresentò il punto di crisi del sistema quando arrivò la prima generazione di terapie farmacologiche personalizzate, cioè ad alto costo».

Sarebbe invece un errore, ha detto ancora Martini, insistere sulla dpc nella speranza magari di portare in questo canale tutti i farmaci della diretta che non richiedono più un monitoraggio in ambiente protetto. Così, infatti, si relegherebbe la farmacia a una sorta di «contoterzista» distributivo che ne svilirebbe ruolo e potenzialità. Invece, la destinazione più appropriata dei farmaci il cui uso si è ormai “territorializzato” (Martini ha citato a titolo di esempio incretine e Nao) è il circuito della convenzionata, anche per ragioni di equità: «Non si capisce per quale motivo in Emilia Romagna il diabetico deve andare a prendere il farmaco di cui ha bisogno in ospedale e in Lombardia invece in farmacia» ha rimarcato. «La discrezionalità lasciata alle Regioni ha creato disparità», ha detto Martini a chiare lettere, «l’equità di accesso deve essere la barra del riordino del sistema». Quindi basta con liste di distribuzione differenti da una Regione all’altra e con differenti compensi alle farmacie per la dpc. «Vanno superate le diversità» ha concluso Martini «che creano enormi disagi ai pazienti». Aspettiamo la replica delle Regioni.