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Incompatibilità, Lombardo: dalla Consulta importante chiarimento

8 Febbraio 2020

La sentenza della Corte costituzionale 11/2020, che esclude i soci di mero capitale (estranei cioè alla gestione della farmacia) dall’incompatibilità con qualsiasi altro rapporto di lavoro pubblico o privato, va accolta con favore. Perché ha il merito di affermare una lettura razionale della norma, nata in un contesto ormai superato, e smentire precedenti interpretazioni letterali e rigidissime, fino alla conseguenza assurda d’impedire la partecipazione in società titolari di farmacia a tutti coloro che si guadagnassero da vivere in modo diverso. Così almeno la pensa Quintino Lombardo, avvocato ed esperto di legislazione della farmacia, che a FPress spiega l’ordine in cui ricollocare le tessere del puzzle dopo l’intervento della Consulta.

Lombardo, la pronuncia dei giudici costituzionali sembra fare a pugni con la sentenza del Tar Lazio del maggio scorso, che invece confermava l’incompatibilità nei confronti di una docente laureata in farmacia che era anche farmacista socia. Come stanno le cose?
In realtà non dovrebbe esserci alcun contrasto, perché le vicende sembrano simili soltanto in apparenza. Il Tar laziale si è espresso su un caso che riguarda alcuni farmacisti partecipanti al concorso straordinario per la gestione associata. Una di loro, che è docente, partecipa in associazione, al momento dell’autorizzazione la Regione le chiede di lasciare l’università e lei fa ricorso.

Anche nel caso esaminato dalla Corte costituzionale abbiamo una società vincitrice e un socio docente…
Sì ma qui, da quanto si legge nella parte in fatto della decisione, la questione nasce dall’acquisto della quota di uno dei soci vincitori del concorso da parte del docente, verosimilmente trascorso il triennio previsto dalla legge; l’Asl eccepisce l’incompatibilità e scatta il contenzioso.

Quindi?
La differenza è decisiva: la Corte costituzionale dice che non c’è incompatibilità perché il docente che rileva la quota non è il vincitore del concorso straordinario e si pone nella posizione di mero socio di capitale, cioè non partecipa alla gestione della società.

E’ quello che diceva anche la docente del caso laziale…
Sì ma lei era vincitrice di concorso straordinario, dunque per almeno tre anni dall’assegnazione della sede farmaceutica – o meglio, dalla co-assegnazione pro quota indivisa, come nei giorni scorsi affermato dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a proposito della non cumulabilità di due sedi – è tenuta alla “gestione associata” cioè deve esercitare la farmacia “su base paritaria” insieme agli altri vincitori del raggruppamento.

In sostanza, mettendo assieme le due sentenze del Tar Lazio e della Consulta, se ne ricava che l’incompatibilità della 362/91 per rapporto di lavoro – pubblico o privato – riguarda soltanto il farmacista direttore di farmacia o collaboratore…
Più in generale, direi meglio il farmacista che gestisce ed esercita la professione nella farmacia, tra i quali necessariamente anche i vincitori di sede nel concorso straordinario, che in seguito hanno costituito una società di capitale per gestire la farmacia vinta. Restano ancora da capire, invece, le ricadute della sentenza per alcuni specifici profili.

Per esempio?
Mi chiedo: il farmacista socio amministratore di una società di capitali titolare di una o più farmacie, che non esercita la professione in alcuna di esse né da direttore né da collaboratore, cioè si trova in una posizione che potrebbe essere assunta da qualunque manager, ed è anche parte di un rapporto di lavoro, incorre nell’incompatibilità, perché partecipa alla gestione delle farmacie? Dal punto di vista letterale, si sarebbe portati a rispondere affermativamente, ma qualche dubbio permane, perché la ratio dell’incompatibilità, secondo la lettura della Corte, è il presidio dell’indipendenza della professione in farmacia e dunque essa dovrebbe riguardare questi ultimi farmacisti e non gli altri, anche se amministratori. D’altra parte, la proprietà dell’azienda, l’amministrazione e la gestione dell’impresa farmacia, dice la Corte, possono stare nelle mani di qualunque soggetto economico, il quale deve necessariamente affidarsi a un farmacista per la sua conduzione professionale.